"Diventa quello che sei"
18 Ottobre 2022

La storia di Barbara

di Francesca Boari | 4 min

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Mi chiamo Barbara. Ho avuto una lunga relazione con un uomo dalla quale sono nati due figli. Oggi uno ha 14 anni e una 8. La nostra storia è finita da anni oramai, il perché lo capirà chi ha voglia di leggere questa lettera fino in fondo.

Ho cercato poi di ricostruirmi una vita lontano da lui e trasmettere serenità e fiducia ai miei bambini insieme al mio nuovo compagno, che li ha saputi amare ed accogliere con immensa generosità. Ma lui, il padre biologico, non l’ha presa bene…come spesso accade in queste circostanze. Quel genere di uomo che non può concepire che una donna si possa allontanare da lui e ricominciare da capo. Quel genere di uomo che “io sono il maschio e ti domino fino alla fine dei tuoi giorni”. Quel genere di uomo che non vuole il tuo sorriso specie se non è riuscito lui a farti sentire a casa.

L’incubo inizia quando decido di lasciarlo ai 6 mesi della nostra seconda bambina, perché lui continuava ostinatamente a voler stare nel nostro ambiente famigliare per controllarmi e manipolarmi. Così per 1 anno e mezzo… Confidando di avere sostegno e tutela, perché no, anche dalle istituzioni, cerco di rifarmi una vita. C’é voluto poco a capire che ero sola, con la mia nuova famiglia, ma sola. E spaventata.

Quando avevo in grembo la mia terza bimba, figlia del mio attuale marito, il calvario non è finito, anzi. Lui a Roma, io a Ferrara. Mi ha citato e ricitato in giudizio mentre mi ha sottratto i bambini facendoli portare, come sacchetti della spesa, a 500 km dagli zii, sostenendo che voleva metterli a riparo da me. Io sapevo però che mi stava colpendo ancora.. tentando di togliermi quella parte di me che mi ha dato, fino ad oggi, la forza per andare avanti. Li ho riportati a casa dopo un anno e mezzo prendendomi la responsabilità di andare contro al pronunciamento del t.o. di Roma che li lasciava temporaneamente nel domicilio del padre.

Intanto il tempo passava e lui ha anche illegittimamente chiesto la residenza dei bambini, ottenendola dal Comune senza il mio consenso.

Ho praticamente dovuto affrontare un procedimento penale per potermi riportare a casa i miei bambini (la beffa è che in quell’anno e mezzo io son dovuta andare incinta a trovare gli altri miei 2 figli a 500 km per 22 fine settimana). Dopo questo, i servizi sociali hanno iniziato ad occuparsi, sulla base delle sue maldicenze, dei miei bambini, dei miei comportamenti e di quelli del mio compagno. Dopo 7 anni non ne siamo ancora usciti, siamo ancora fermi allo stesso punto. E questo nonostante non sia mai emerso qualcosa che comprovasse tutto il male di cui quell’uomo continua ad accusarmi.

Giulio, oramai adolescente, mostra chiari segnali di esaurimento, stanchezza, irritazione. Incomincia a capire che questo padre in realtà non vuole i figli ma distruggere la madre. Quel padre non fa altro che pagare avvocati per intentare cause contro sua madre e non contribuisce in nessun modo a crescere quelle creature.

Quel padre impedisce alla bambina di intraprendere qualsiasi attività sportiva. Quel padre non ha mai partecipato ad una festa, una recita, il primo giorno di scuola, dei suoi bambini che dice di amare tanto. E allora anche Giulio incomincia ad essere stanco di tutte quelle domande a cui lui, la sorella, la madre e il compagno continuamente devono rispondere (assistenti sociali) senza sapere fino in fondo il perché.

E invece io il perché lo conosco bene, naturalmente ho chi mi difende legalmente, ma non basta.

La sua prepotenza è un gigante tentacolare, ovunque io cerchi di muovermi è pronto all’attacco per tornare ad immobilizzarmi. Sono stata in analisi, ho cercato di caricare il mio corpo sfinito di forza sufficiente per fare fronte a tanta brutalità, avversione. Ogni volta che mi sono sentita in piedi, lui è riuscito a rigettarmi a terra. Sono sfinita, mi sento impotente e sola. Ho bisogno di gridare al mondo femminile e non solo, consapevole che esistano uomini ben diversi in natura, uno è costantemente al mio fianco, che è necessario arginare quella primitiva violenza che ci vuole sottomesse ad ogni costo ad accudire la prole e la casa del “maschio”. E’ una eredità culturale, antropologica non ancora estinta purtroppo. E molte di noi per paura di ritorsioni non parlano. Io ho deciso di farlo. Spero di raccogliere il sentimento di qualcuno e soprattutto l’aiuto delle Istituzioni.

Lo faccio per i miei figli e per me. Grido la mia impotenza sperando che si risolva in azione concreta per la verità.

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