Cronaca
29 Settembre 2022
Per il consulente della difesa, il volto la vittima riportava segni da colluttazione, e sulla parte posteriore ferite riconducibili a un qualcosa con l'estremità acuminata

Tortura in carcere, il giallo delle lesioni sulla schiena del detenuto

di Daniele Oppo | 3 min

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Lesioni al volto e al collo, compatibili con una colluttazione. Lesioni alla schiena compatibili con l’impatto con un oggetto con un’estremità acuminata, ma non con il ferro di battitura.

Sono le conclusioni a cui è giunto il prof Mauro Martini, medico legale e consulente nominato dall’avvocato Alberto Bova, difensore di Geremia Casullo e Massimo Vertuani, i due poliziotti penitenziari a processo per aver torturato, queste l’ipotesi accusatoria, il detenuto Antonio Colopi il 30 settembre del 2017 durante un’ispezione nella sezione nuovi giunti dell’Arginone.

Martini ha analizzato delle foto fornitegli dal legale e in base a quelle ha provato ad analizzare l’origine delle lesioni riscontrate sul corpo di Colopi (parte civile assistita dall’avvocata Paola Benfenati).

Chiare, come detto, quelle al volto e al collo: “Sono contusive e stanno molto bene con una colluttazione, in particolare con pugni e graffiamenti da unghie, dunque uso delle mani”. In base a ciò si può dire con una discreta sicurezza che il detenuto sia stato colpito al volto su entrambe le orbite oculari e graffiato al collo. Da chi e in quale contesto sta al processo stabilirlo.

Meno chiara l’origine delle lesioni alla schiena: tre quelle individuate nella consulenza da Martini, che sono salite almeno a cinque in udienza ieri, davanti al collegio giudicante presieduto dalla giudice Piera Tassoni, con la visione di fotografie a risoluzione molto maggiore e più nitide fornite dalla pm Isabella Cavallari. Per il medico legale la conformazione della lesione con un’area centrale che presenta la cute intatta porta a concludere che l’impatto sia avvenuto con l’estremità acuminata di un oggetto non meglio identificato, ma non a sezione rotondeggiante o circolare, come è invece in generale il ferro di battitura, che secondo l’accusa – e secondo il racconto della parte offesa – sarebbe stato usato per picchiare il detenuto. “Potrebbe essere uno spigolo, ad esempio”, ha spiegato il consulente che ha escluso in ogni caso, o almeno lo ha considerato poco probabile, che quel tipo di lesioni sia stato autoinferto da Colopi.

Prima di lui sono state chiamate a testimoniare un’infermiera e la medica Giada Sibahi, già sentita e che racconto di essere rimasta scossa dopo aver visto in che condizioni versava Colopi in cella. Le loro testimonianza servono soprattutto per chiarire la posizione di Eva Tonini, la terza imputata di questo processo (assistita dall’avvocato Denis Lovison), accusata di aver scritto il falso nelle comunicazioni infermieristiche e dichiarato il falso ai carabinieri nel Nucleo investigativo nel tentativo di aiutare Casullo, Vertuani e Licari (terzo poliziotto, già condannato in abbreviato) e sviare le indagini nei loro confronti. L’infermiera ha dichiarato di aver letto verso le 11,30 del 30 settembre (i fatti oggetto del processo sono precedenti alle 9) un’annotazione sul diario infermieristico effettuata da Tonini sul fatto che Colopi, durante il giro delle terapie al mattino, fosse “polemico, rivendicativo, trovato che sbatte violentemente la testa sul blindo, continua lo sciopero della fame”. Annotazione non letta e non conosciuta dalla dottoressa, che ha riferito di aver sentito la storia della testa sbattuta contro il blindo solo giorni dopo e da voci di corridoio.

 

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