Una scatola piena di reperti. Tre in particolare: le scarpe indossate da Denis Bergamini il giorno in cui è morto, la catenina d’oro che aveva al collo, l’orologio che aveva al polso.
Tre reperti che non raccontano la storia di una morte per suicidio, di un uomo che si butta sotto un camion e che viene schiacciato e trascinato. Non raccontano nemmeno di un uomo che scende dalla sua auto in una piazzola fangosa. Le scarpe erano pulite, senza fango: c’era però qualche traccia che per i Ris potrebbe essere sangue. L’orologio è intatto, la catenina pure.
“L’apertura del pacco dei reperti è stata estremamente significativa ma anche di grande impatto emotivo. Marciamo spediti verso la verità giudiziaria”, dice l’avvocato Fabio Anslemo, che assiste i familiari di Denis. Ieri era a Cosenza per la nuova udienza del processo davanti alla Corte d’assise, che vede accusata l’ex fidanzata del calciatore argentano, Isabella Internò, di omicidio pluriaggravato e premeditato.
Significative anche le testimonianze, come quelle di Natalina Rende e Adelina Romano, sorella e moglie di due dei factotum del Cosenza Calcio che morirono in un incidente stradale un anno dopo la morte di Bergamini: furono loro, da quanto emerso nelle indagini e anche in udienza, a prendere dall’ospedale di Trebisacce (dove era il corpo di Denis, ndr), la scatola contenente le scarpe. Una circostanza ricordata vividamente da Rende, meno da Romano, ma che trova riscontro esterno nel fatto che alla famiglia vennero consegnati catenina e orologio, ma non le scarpe.
Sentita anche Arsenia Berri, una ragazza che al tempo attirò le attenzioni di Bergamini, al quale chiese come mai stesse con una come la Internò che aveva la fama di saltare da un calciatore all’altro, senza ricevere però risposta.
Al banco dei testimoni anche Giorgio Venturin, che suo malgrado fu il protagonista dello scontro in cui si infortunò Bergamini: il suo ricordo è di un giocatore di grande professionalità.
Si riprende il 26 settembre.
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