“La chiusura del cracking di Porto Marghera non è solo un problema per i lavoratori della chimica, c’è tutto l’indotto e tutta la filiera, dal biomedicale all’automotive”. Ci tengono a sottolinearlo i sindacati che ieri, mercoledì 23 febbraio, hanno organizzato insieme a qualche decina di lavoratori del polo chimico un presidio davanti alla prefettura, in concomitanza con l’incontro al Mise tra gli assessori regionali di Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia al Mise, per avere rassicurazioni e prospettive diverse e migliori da Eni.
Un incontro cruciale perché Eni-Versalis ha deciso che il cracking, l’impianto che fornisce i monomeri al petrolchimico di Ferrara per le sue produzioni, dovrà chiudere a brevissimo, in questa primavera. La preoccupazione è altissima, e tutte e tre le segreterie sindacali provinciali hanno chiesto supporto alle loro segreterie confederali nazionali. La speranza è che si arrivi a una proroga e a un nuovo piano industriale che comporti una svolta per il futuro.
“Versalis ha garantito le forniture tramite l’approvvigionamento via nave – spiega Fausto Chiarioni della Filctem-Cgil -, ma gli investimenti e le richieste di autorizzazione per costruire le strutture non ci sono. Non stiamo facendo la transizione energetica – dice ancora Chiarioni, chiaro e tondo – ma chiusura dell’impianto e stiamo mettendo in crisi il sistema della chimica. Oggi non abbiamo alcuna certezza sul futuro del Petrolchimico”. Il concetto è espresso in altri termini da uno degli striscioni: “Se Marghera chiude, a Fe si farà il pane senza la farina”.
Un futuro che, se assente, metterebbe in crisi una fetta non irrilevante dell’economia provinciale. Anche per questo stupisce il fatto che al presidio non vi abbia partecipato alcuna rappresentanza politica né dell’Amministrazione comunale, fatto salvo il solo Tommaso Mantovani, consigliere comunale del M5S.
“Alcuni investimenti si fanno in questo territorio perché c’è il Petrolchimico”, spiega Vittorio Caleffi della Uiltec-Uil ed ecco perché “non presidiare questo territorio mette in difficoltà tutte le produzioni, come quella del biomedicale che si fa anche fuori da Ferrara. Il sistema Emilia funziona ma va protetto”.
La mobilitazione, aggiunge Luigi Baiano della Femca-Cisl, serve per “avere la chiarezza che oggi manca. Le scelte fatte da Eni-Versalis vanno riviste o discusse con le organizzazioni sindacali, con tutte le categorie, perché ci saranno ripercussioni non solo per l’indotto ma per tutta la filiera”.
Giovanni Verla, segretario della Fiom, osserva che al Polo chimico la manutenzione è appannaggio dei lavoratori metalmeccanici, e lo “svuotamento degli appalti” derivato dal calo degli investimenti, comporta anche “un rischio occupazionale significativo: prima della pandemia avevamo quasi 500 occupati fissi, oggi ne abbiamo la metà”. Un problema legato a doppio filo anche con la sicurezza, vista le delicatezza del sito sotto questo punto di vista. Per Verla, inoltre, le soluzioni finora prospettate “non hanno una logica rispetto alla transizione: è necessario ragionare di una riconversione dei processi produttivi. Nel Patto per il lavoro-Focus Ferrara si sono fatte delle proposte, ma per la miopia dell’amministrazione ci è stato risposto che quelle attività non facevano parte del core business delle aziende insediate. C’è una subalternità delle istituzioni alle aziende, che creano un cortocircuito quando l’azienda è Eni”.
Una delegazione composta da Chiarioni, Caleffi e Baiano è stata ricevuta dal prefetto Rinaldo Argentieri che si è mostrato interessato e partecipe e ha assicurato l’invio di una comunicazione di carattere non solo formale a Roma.
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