Attualità
16 Luglio 2020
La mancanza di un presidio medico in città è stato per anni un tema accantonato e sottovalutato, ma la questione è più che mai aperta

Dovremmo iniziare a parlare del primo soccorso in corso Giovecca

di Ruggero Veronese | 5 min

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“Ancora con questa storia dell’ospedale in campagna?”. I sindacalisti mi guardano con un pizzico di delusione. Come a dire: ci sei cascato anche tu. Perché tra tutte le obiezioni che gli potevo sollevare, tra tutte le questioni in cui potevo addirittura farmi trovare d’accordo con Alan Fabbri, sono andato a tirar fuori proprio la più ignorante, la più irrisolvibile, la più insopportabilmente populista e rancorosa: l’assenza di un pronto soccorso a Ferrara.

Eppure prima o poi dovremo avere il coraggio di guardarci negli occhi e parlarne con franchezza; e non dico ai sindacati ma a livello generale, a Ferrara. Di capire almeno un minimo cosa ne pensa la collettività, al di là delle conferenze socio-sanitarie e dei dibattiti politico-tecnico-sindacali che di volta in volta si fanno interpreti degli interessi generali. E visto che nessuno – almeno che io sappia – ha mai realmente provato a capire la vera opinione dei ferraresi sulla questione del pronto soccorso, tanto vale provare a discuterne un po’.

Da qualche anno vige una sorta di regola non scritta a Ferrara, quando si parla di sanità. Si possono sollevare critiche e questioni sui tempi di attesa, sui costi di gestione, sulle nomine dei dirigenti, sull’integrazione tra i diversi servizi, tra le aziende, sulle prestazioni domiciliari, sulla mobilità intra ed extra regionale, sulla concorrenza tra distretti sanitari e i servizi no-core. Si può contare ogni singolo tampone per il Covid-19 eseguito a Ferrara e misurare col righello la metratura tra i posti letto. Ma non si può mai, e dico mai, parlare dei disagi causati dalla distanza tra l’ospedale e la città. Non si può andare a rivangare la storia del trasferimento dell’ospedale da corso Giovecca a Cona. Non più.
Quella è acqua passata.
E in ogni caso nessuno può più farci nulla.

Il pronto soccorso del nuovo Sant’Anna a Cona

Ed è proprio vero: ormai è fatta. Lo sappiamo, lo sapete. Abbiamo seguito anche quei lunghi strascichi giudiziari. Tutti assolti, ospedale costruito a regola d’arte, zero speculazione, zero rincari, zero illeciti. In pratica un appalto impeccabile, se vi piace prendere alla lettera i commenti post-sentenza degli avvocati. Eppure.
Eppure a sette anni di distanza dal trasferimento sento che c’è ancora qualcosa che non va. E che non basteranno mai le centinaia di comunicati e conferenze stampa che dimostrano la rapidità degli interventi e l’efficienza dei nostri protocolli di emergenza-urgenza per togliermi dalla testa un pensiero fisso: a Ferrara non c’è più un pronto soccorso.

Ogni volta che provo a parlarne con gli addetti ai lavori, tutti mi guardano un po’ male. “Il pronto soccorso c’è, è qua a Cona. Le ambulanze ci mettono al massimo 20 minuti per arrivare da ogni angolo del territorio comunale”. Ed è vero. In genere mi fanno anche notare che separare il pronto soccorso dal resto dell’ospedale sarebbe una vera follia: come fai senza cardiologia, se arriva un paziente in arresto cardiaco? Come fai a salvare i feriti di un incidente stradale senza un’adeguata traumatologia? Ti rendi conto dei potenziali rischi? Tutto questo è vero, anzi è sacrosanto. Eppure.

Eppure quando Fabbri ha infilato tra le sue promesse elettorali il ritorno di un pronto soccorso (primo soccorso, per esattezza) in corso Giovecca, ho pensato subito che aveva pescato un gran bel jolly dal mazzo. Perché al di là di tutti i dati ufficiali e dell’orgoglio per la sanità emiliana-romagnola e i suoi modelli organizzativi, questa lontananza di un presidio medico anche solo di base dalla città è una vera anomalia. Un’anomalia che, parliamoci chiaro, non tutti sono davvero riusciti a digerire. E un po’ come per altri temi tragicamente sottovalutati dalle ultime amministrazioni (vedi alla voce “periferie e immigrazione”, pur con tutte le differenze del caso) ho avuto spesso la sensazione che politici e dirigenti pubblici abbiano messo un po’ troppo frettolosamente una pietra sopra a una questione che non era affatto chiusa, alimentando quel senso di lontananza della popolazione che ha determinato la sconfitta elettorale del centrosinistra.

L’ingresso dell’ex pronto soccorso in corso Giovecca

Quindi sì: ancora con questa storia dell’ospedale e del pronto soccorso in campagna. Se non altro perché da almeno sette anni è un tabù che non è mai stato davvero affrontato. Un elefante piantato in mezzo alla stanza che ha condizionato e pregiudicato molte delle riflessioni sulla sanità ferrarese. E anche perché, volenti o nolenti, presto ne dovremo parlare per forza, quindi meglio iniziare ad avere le idee un po’ più chiare. Già alla conferenza sociosanitaria di martedì mattina infatti Fabbri ha ribadito il suo proposito: un punto di primo soccorso a Ferrara, per i piccoli traumi e le normali medicazioni. I sindacati dal canto loro hanno ribadito la loro posizione: il ritorno in città del pronto soccorso non è fattibile. La discussione è già aperta e le posizioni sono già piuttosto chiare.

L’ambiguità tra ‘primo’ e ‘pronto’ soccorso rende tutto questo un dibattito tra sordi, in cui per ora Fabbri e sindacati non devono entrare in contrasto. Ma è evidente che il conflitto è dietro l’angolo.
In tutto questo il centrosinistra ondeggia tra la sua storica difesa dell’Eccellenza Cona (e quindi dell’attuale modello di soccorso) e qualche timida presa di coscienza del fatto che forse, in una città di 130mila abitanti, potrebbe tornare utile un qualche presidio accessibile anche senza taxi o ambulanze. Almeno finché non ci sarà la famosa – e quantomai fumosa – metropolitana di superficie per abbattere la distanza Ferrara-Cona. Ma non mi aspetterei particolari exploit: quando si parla di Cona il Pd ha sempre tutto da perdere.

Monica Calamai e Paola Bardasi

E poi ci sono le due nuove dirigenti di Sant’Anna e Ausl, Paola Bardasi e Monica Calamai: a loro spetterà il non facile compito di trovare una quadra a questa situazione, magari individuando un compromesso sostenibile e di buon senso tra due posizioni opposte ma entrambe coerenti: da un lato l’accessibilità a un servizio di base a dir poco fondamentale, dall’altro la sua qualità e sicurezza. E chissà che la loro maggiore estraneità alle polemiche locali – oltre al mandato regionale espressamente indirizzato alla fusione tra le aziende – possa favorire quella giusta misura che forse molti a Ferrara hanno smesso da tempo di cercare.
Quindi, come si dice in questi casi, in bocca al lupo a entrambe. Ma se posso dar loro un consiglio – superfluo e non richiesto – forse sarebbe utile anche capire le reali richieste in materia di primo soccorso dei ferraresi e quale tipo di servizio vorrebbero. Con quali caratteristiche e quali limiti. In fondo è quello che nessuno, in questi anni, ha mai provato a fare.

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