Cronaca
30 Ottobre 2019
Uno degli assassini di Tartari alla sbarra per aver minacciato e strattonato la donna. Arriva la sentenza: quattro mesi di reclusione

Violenza sulla ex compagna, condannato Fiti

di Elisa Fornasini | 2 min

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Processo stadio. La Procura impugna la sentenza

La Procura di Ferrara ha impugnato la sentenza con cui il tribunale di Ferrara - in primo grado - aveva assolto i cinque imputati finiti a processo per le presunte difformità strutturali riscontrate durante il cantiere per l'ampliamento fino a 16mila posti dello stadio Paolo Mazza, avviato a seguito della permanenza in Serie A della Spal nel campionato 2018-2019.

Quattro mesi di reclusione, cinquecento euro di multa, pagamento delle spese processuali quantificate in 1140 euro. È la pena comminata dal tribunale a Constantin Fiti, uno degli assassini condannati all’ergastolo per l’omicidio di Pierluigi Tartari. Questa volta il 26enne di origine rumene era alla sbarra per violenza privata nei confronti della ex compagna, minacciata e strattonata anni fa.

Il processo per violenza privata, reato così riqualificato dal giudice ordinario dopo un primo processo davanti al giudice di pace per quello più lieve di minacce, è arrivato alla sentenza a un soffio dalla prescrizione. Il giudice Andrea Migliorelli ha riconosciuto entrambi i reati con l’esclusione dell’aggravante del secondo comma che avrebbe aumentato la pena a otto mesi di reclusione, come richiesto dal pubblico ministero.

L’avvocato Saverio Stano, che rappresenta in giudizio l’ex compagna di Fiti, non presente in aula, si associa alla richiesta di condanna del pm mentre il difensore Rita Cirignano insiste per l’assoluzione nella formula più ampia possibile o in subordine il riconoscimento del minimo della pena per la continuazione tra i due reati.

A cambiare le carte in tavola, o comunque a far emergere nuovi particolari rispetto alla prima istruttoria dibattimentale, è stata la testimonianza della sorella della vittima.

La testimone ha visto Fiti che si è avvicinato alla donna in un pubblico esercizio per avere notizie sulla figlia. Da qui sono scaturite le minacce – “mi riprendo la bambina per cinquemila euro”, “non finisce qua” – e uno strattone, per poi dileguarsi.

“Il mio assistito è stato insistente perché legittimamente voleva esercitare il suo diritto di conoscere le sorti della bambina, senza essere a conoscenza del fatto che fosse stata allontanata dalla mamma sin dalla nascita” ripercorre l’avvocato Cirignano, che si avvale della testimonianza della sorella – che più volte ha definito Fiti “un coniglio” – per dimostrare che l’imputato nutriva “timore delle forze dell’ordine” e, “appena sentiva nominare carabinieri o polizia, scappava via”.

È quanto sarebbe successo anche in questo caso, quando il fratello della vittima ha detto che avrebbe chiamato i carabinieri. E sarebbero state proprio queste parole a convincere Fiti ad allontanarsi, dopo lo strattone al braccio della ex compagna. Che lo ha denunciato in caserma e portato in tribunale fino alla sentenza.

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