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Cipón, ślapón, svimnà, scupazón (modi dialettali traducibili in sberle o giù di lì), nùśa (colpo secco sul cranio con il dito medio piegato, quasi un pugno, ma meno violento), sgranadlà (colpo di scopa), spatcià (colpo di ciabatta), zingià (frustata con la cinghia dei pantaloni, particolarmente violenta e dolorosa).
È l’educazione familiare e scolastica di alcuni anni or sono. Claudio Natati, con una bella poesia, ci ricorda come alcuni castigavano i ragazzi, in famiglia e a scuola, alcuni decenni fa. Pene corporali che infliggevano i nostri avi.
A scuola poi, i maestri con la bacchetta di bambù facevano allungare le mani e “bacchettavano” , non metaforicamente, ma fisicamente. Oppure costringevano i più discoli, dietro la lavagna, allora ce ne erano di enormi, sostenute da voluminosi telai. A volte con un cappello di carta con orecchie che ricordavano il somaro. Oppure, inginocchiati sul sale o sui fagioli. I ragazzi erano tutti con i calzoncini corti e stare inginocchiati a tal guisa non era il massimo della sensazione.
Naturalmente, non tutti i genitori o gli insegnanti adottavano tali metodi, ma ce n’erano tanti, ve l’assicuro. Però non c’erano neppure genitori che picchiavano gli insegnanti, come capita al giorno d’oggi. Probabilmente è meglio agire come oggi nei confronti dei bambini o ragazzi, ma un po’ più di rispetto da parte degli alunni e di genitori, non sarebbe poi così male.
Questa poesia è di un uomo dal carattere molto tranquillo, mite e mansueto. Ottimo insegnante e ben voluto, anche in famiglia. Ritengo che la poesia, a mio avviso, non rispecchi il suo io. L’autore vuol solo ricordare che, qualche anno fa, si agiva così: testimonianza, più che auspicio d’un tempo e situazioni social/scolastiche dei tempi.
Claudio Natati (Copparo 02/12/1952) vive a Ferrara, scrive poesia dialettale e fa parte del consiglio direttivo del cenacolo culturale “Al tréb dal tridèl”. Ne è pure segretario. Tra il 2016 e il 2019 è stato premiato, più volte, al concorso “M. Roffi” di Ferrara e al “L. Guernieri” di Portomaggiore nelle sezioni della poesia e della zirudèla.
L’EDUCAZIÓN AD SÒQUANT ÀN FA
(Di Claudio Natati)
L’educazión la s’insgnàva acsì:
vot na śgranadlà o na spatcià? Dìmal !
Agh putéva èsar anch st’al mòd chì:
A t’in dagh fiη quànd ill man j n’am fà mal!
La jéra la mùśica ad tuti i dì,
parché ti t’an carsési brìśa mal;
n’avertimént e quàlch bón scupazón
i paréva èsar ‘na bòna soluzión.
J’éra ill paròll in vóga dla persuaśión,
ch’ill pàsa tra l’dir e l’far incóra prima
ch’a s’sìa capì tuta la quistión.
I grand i gh’avéva da metr’in zima
al lavór, póch témp par la discusión,
quindi l’jéra l’cipón ch’it dava prima.
Tra grand e pìcul i quèj jéra ciàr:
i śgónd i duvéva sémpar scultàr.
L’EDUCAZIONE DI ALCUNI ANNI FA (Traduzione)
L’educazione si insegnava così:/vuoi un colpo scopa o uno di ciabatta? Dimmelo!/Ci poteva essere pure questo modo qui:/Te ne do finché le mani non mi fanno male !/Era la musica di tutti i giorni,/perché tu non diventassi adulto male;/un avvertimento o qualche buono scapaccione/sembravano essere una buona soluzione./Erano le parole in voga della persuasione,/che passano tra il dire e il fare ancora prima/che se si è capita tutta la questione./Gli adulti avevano da mettere in cima/Il lavoro, poco tempo per le discussioni,/quando era la sberla che ti davano prima./Tra gli adulti e i minori le cose erano chiare:/i secondi dovevano sempre ascoltare.
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