“Ma mi condannerà per questa cosa? No… Sono stato insistente e basta”. Il nome di Raul Rodrigues Da Silva è piuttosto noto alle brianzole per alcuni casi di stalking e di violenze sessuali. Descritto come molestatore seriale di ragazzine, l’ultima condanna è arrivata a fine 2018: 9 anni di reclusione inflitti dal tribunale di Monza per aver molestato due minorenni. Altri quattro anni li aveva presi dal Tribunale di Sondrio.
In terra estense, il 35enne italo-brasiliano è a processo con l’accusa di violenza sessuale per aver palpeggiato una donna residente in provincia e averla minacciata di morte. Ci si aspettava la conclusione del processo nell’udienza di giovedì 28 febbraio, ma il collegio giudicante (tutto al femminile) ha accolto la richiesta della difesa (avvocato Vincenzo Bellitti) – approvata anche dal pm Barbara Cavallo – di valutare quantomeno l’opportunità di disporre una perizia sulla reale capacità di intendere e di volere dell’imputato. In effetti basta aver ascoltato dal vivo l’esame reso da Da Silva – un fiume in piena difficilissimo da fermare – per capire come la richiesta difensiva e la decisione dei giudici poggi su solide basi. Ma prima un passo indietro.
Le molestie in stazione. Nel primo pomeriggio del 22 agosto 2016 Da Silva vede la parte offesa in stazione a Ferrara. Entrambi aspettano il treno per Ravenna. Lui – ha raccontato la vittima in aula – le si avvicina e con fare molto amichevole, troppo, le fa intendere che già si conoscessero, prova ad abbracciarla, le chiede il numero di telefono. Lei si allontana, va verso una guardia giurata, poi quando questa va via anche lei cerca riparo altrove fino a che non sale sul treno. Qui, mentre è già accomodata in carrozza, lato finestrino, si ritrova all’improvviso nuovamente davanti Da Silva, che le avvolge la coscia sinistra – dalla parte alta, verso l’inguine – con la mano. Lei si alza immediatamente e lo spintona via, giù dal treno, colpendolo con la borsetta e con dei calci. Discutono, poi lei va verso l’atrio della stazione, dove lui la segue. Continuano a discutere, lei chiama i Carabinieri che arrivano nel giro di qualche minuto. Ed è quando ci sono loro che lui la minaccia di morte: “Intervenite per quella putt…, tossica appena conosciuta? – dice ai militari -. Io la ammazzo, poi vengo a consegnarmi e vi dico dove l’ho lasciata”.
Solo molto insistente. “No, mai minacciata”, afferma Da Silva in aula, per poi concedere che “poi che l’abbia detto quando ero molto arrabbiato… ho qualche difficoltà”. Tra le sue ‘concessioni’ alla versione della donna c’è che “forse sono stato molto insistente”, “mi sono avvicinato facendole i complimenti, facendo il provolone, non dicendo che la conoscevo, ma che mi sembrava di averla già vista: sono stato un po’ insistente, sono sincero”. L’incontro sul treno è – secondo la sua versione – casuale, e comunque non l’avrebbe toccata sulla coscia. Il perché l’abbia poi seguita verso l’atrio anziché prendere il treno rimane non chiarito.
Gli impulsi irrefrenabili. Ma nel suo impeto continuo e irrefrenabile di loquacità, Da Silva ammette di avere già dei precedenti in tal senso, di essere in carcere per questo, di avere difficoltà a gestire gli impulsi sessuali – “Mi piacciono troppo le donne, non riesco a trattenermi” – e di aver avuto contatti con professionisti per cercare di venire a capo dei suoi problemi, ma che mai un giudice ha disposto una perizia, “forse perché non mi sono mai presentato ai processi”. Lo ha fatto questa volta.
Valutare la capacità di intendere e volere. Se ne riparla il 13 giugno, quando il tribunale valuterà la cartella sanitaria che verrà acquisita dal carcere di San Vittore – dove è detenuto e dove pare essere seguito anche dal punto di vista psichiatrico – e quelle relative alla documentazione medica privata per decidere se sia davvero necessario valutare la sua capacità di intendere e di volere.
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