Cronaca
21 Febbraio 2019
Le parti civili chiedono danni per centinaia di migliaia di euro. Per le difese invece manca completamente la prova. Sentenza a marzo

Chiesti tre anni per l’educatrice accusata di maltrattamenti

di Daniele Oppo | 3 min

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(archivio)

Una pena severa, tre anni di reclusione, quella chiesta dalla procura per un’educatrice di 38 anni accusata di aver maltrattato quattro bambini in un nido d’infanzia nel periodo tra 2016 e 2017.

Per l’accusa – sostenuta in aula dalla vpo Shila Davi – sono credibili le testimonianza dei genitori, non essendo possibili quelle dirette dei bambini (ai tempi avevano 2 anni all’incirca): “I comportamenti dei bambini riferiti dai genitori – ha detto la pubblica accusa nella sua requisitoria – sono univoci e portano a dimostrare come fossero vittime di maltrattamenti: schiaffi, colpi sulla testa e sulle gambe”.

Alla procura si sono associate le parti civili che hanno chiesto danni per 100 e 200mila euro, chiedendo altresì la corresponsione di una provvisionale rispettivamente di 40 e 50mila euro.

I comportamenti a cui si fa riferimento sono incubi notturni, ‘sfoghi’ violenti con le bambole, capricci al momento di farsi cambiare il pannolino. In un caso sarebbero stati documentati con fotografia e video lividi nell’interno coscia e sul pube di una bambina. Il condizionale è d’obbligo perché come rilevato dalle difese, foto e video, risalirebbero al 2 febbraio 2017, circa 15 giorni dopo che l’educatrice era stata ormai messa a casa dal nido. Non solo, i genitori che hanno denunciato i maltrattamenti hanno sostenuto che ci fosse anche un video, scambiato anche via Whatsapp, in cui una bambina diceva esplicitamente – a modo suo, ovviamente – che la maestra picchiava i bambini, tale video è però scomparso nel nulla e non mai stato allegato nemmeno alla denuncia.

“Non è emersa l’esistenza della violenza e nemmeno un abuso dei mezzi leciti di correzione”, ha detto con forza l’avvocato Irene Costantino, che difende la legale rappresentate del nido – oggi chiuso – chiamata come responsabile civile.

All’avvocato Denis Lovison, difensore dell’educatrice, che ne ha chiesto la piena assoluzione, il compito di entrare in maniera più analitica sulle singole testimonianze, evidenziando come non siano state seguite le linee guida per ascoltare i minori, anche se in questo caso troppo piccoli perfino per poter essere dichiarati capaci di testimoniare. Secondo il difensore, i genitori hanno ascoltato fin da subito i bambini con modalità “tali da compromettere irreparabilmente la genuinità dell’infante (effetto compiacenza)”, sviluppando anche un effetto a catena tra genitori, condividendo impressioni e bozze delle denunce su un gruppo Whatsapp, per cui alle loro dichiarazioni “non può essere attribuita alcuna rilevanza probatoria, poiché inquinate ab origine”. In ogni caso, per l’avvocato non vi è prova alcuna dei maltrattamenti, essendo i cambiamenti nella personalità dei bambini notati dai genitori compatibili con altri fattori familiari – malattie, spostamenti, distanza di un genitore per lavoro – soprattutto in una fase della vita chiamata “terrible two”.

Il giudice Vartan Giacomelli si pronuncerà il 19 marzo.

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