Economia e Lavoro
2 Luglio 2018
Esistono già una cinquantina di ettari in provincia. Vitali: "Economia fiorente con un incredibile numero di applicazioni"

Bambù, gli imprenditori ferraresi scommettono sull”acciaio verde’

di Ruggero Veronese | 4 min

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Davide Vitali

Secondo l’imprenditore ferrarese Davide Vitali esiste un anello di congiunzione tra green economy, agricoltura, edilizia, industria alimentare e produzione tessile. Si tratta del bambù, pianta assai diffusa e che trova un incredibile numero di applicazioni in estremo oriente e nell’emisfero meridionale (al punto da essere soprannominata ‘green steel’, acciaio verde), ma ancora sostanzialmente inutilizzata in Europa se non a scopi decorativi.

Nel 2014 Vitali è stato uno dei primi a scommettere sulla strada tracciata da Fabrizio Pecci, l’imprenditore di Cattolica fondatore del consorzio Bambù Italia. Da allora Vitali attraverso la società ‘Coltivare Bambù’ fornisce supporto tecnico e servizi di mediazione a chi vuole investire in questo tipo di coltivazione.

Sul territorio ferrarese esistono già una cinquantina di ettari che producono bambù e l’imprenditore ha organizzato per il 9 luglio alle 19 una serata all’Hotel Orologio per illustrare a nuovi imprenditori e curiosi le potenzialità di questo settore, con tanto di degustazione di germogli.

“Nel 2014 abbiamo studiato questa economia molto fiorente che c’è in oriente, legata al bambù. È una pianta con caratteristiche meccaniche formidabili, ma anche molto elastica e flessibile e questo la rende adatta per molti usi diversi: pensate che in edilizia attualmente le canne vengono utilizzate anche al posto dei tondini di acciaio nel cemento armato, o che la Ford sta portando avanti un progetto per creare cruscotti ed elementi interni degli abitacoli con una pasta di bambù. Esistono migliaia di applicazioni in cui, di fatto, può sostituire la plastica e i metalli. Dopo aver appurato che in Italia ci sono le caratteristiche agronomiche adatte per la sua coltivazione, abbiamo deciso di lanciare la produzione nel nostro paese. Di solito sono i cinesi a copiare da noi, ma in questo caso il percorso è stato quello inverso”.

Ma oltre all’edilizia e alla meccanica ci sono altri campi in cui il bambù può trovare utilizzo: primo tra tutti quello alimentare, visto che il germoglio è  alimento dai buoni valori nutrizionali, oltre che piuttosto pregiato (di importazione si trova a circa 15 euro al chilo). C’è poi, seppur più defilato, il comparto tessile (con la produzione di stoffe e strofinacci).

Ed è proprio questa versatilità, secondo Vitali, la caratteristica più interessante per gli imprenditori: “Nessun altro tipo di produzione consente di distribuire il rischio di impresa tra comparti tanto diversi, come quello edile e quello alimentare. Ogni anno il consorzio indica agli imprenditori le quote per la produzione, a seconda della richiesta e del momento del mercato, e quindi se raccogliere i germogli per uso alimentare o se lasciarli crescere per sviluppare il canneto”. Oggi il consorzio anticipa fino al 40% degli investimenti per nuove coltivazioni, per agevolare la fase di lancio della produzione di bambù in Italia.

Una foresta di bambù può ricrescere molto velocemente dopo la potatura completa, con canne in grado di superare i 30 metri di altezza nel giro di un anno. Quel che non tutti sanno infatti è che la ‘vera’ pianta di bambù non è quella visibile all’esterno, ma un rizoma sotterraneo dal quale si dipanano verticalmente centinaia di germogli, che si svilupperanno in canne. In parole molto povere, il bambù cresce in maniera esponenzialmente più veloce rispetto agli alberi (arrivando addirittura a un metro in altezza al giorno per determinate specie e periodi) perché quelli che vediamo all’esterno non sono tronchi di singole piante, bensì i tanti steli dello stesso individuo.

Queste peculiarità sono secondo Vitali l’asso nella manica dei produttori di bambù, che una volta effettuato un investimento iniziale di 20-30mila euro per ettaro (necessario per impiantare i rizomi sotterranei) e aver fatto entrare in regime i rizomi (occorrono dai 4 ai 6 anni per la completa maturazione), potranno sfruttare per almeno 80 anni una coltura che garantisce una produzione annuale e a bassa manodopera.

Ma chi ha deciso di investire in questo business? “Nel nostro territorio – afferma Vitali – la maggior parte degli imprenditori che ha scommesso sul bambù in questi primi anni non veniva dall’agricoltura tradizionale, ma sono imprenditori spesso con più esperienza sui mercati internazionali che hanno visto una possibilità di sviluppo a lungo termine e si sono lanciati. Gli agricoltori tradizionali sono più legati alle vecchie coltivazioni, anche se allo stesso tempo si lamentano della bassa redditività e sono costretti a operare in mercati molto inflazionati. Ognuno arriverà coi propri tempi, mano a mano che questa economia si diffonderà e si capiranno le sue potenzialità”.

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