A due anni dall’Agenda europea sulla migrazione, cosa ha funzionato e cosa no nella gestione del fenomeno? È la domanda da cui è partito il dibattito “Sulla stessa barca” che in occasione del festival di Internazionale ha riempito l’aula di Giurisprudenza alla ricerca di regole comuni per affrontare una “questione che esiste da sempre” ma che ha “subito un’impennata negli ultimi due anni”.
“Nel 2015 abbiamo stilato questa agenda per far fronte all’ennesima tragedia nel Mediterraneo – ricorda Marc Arno Hartwig della Commissione europea -. Il punto essenziale era salvare vite umane, migliorare la sicurezza delle frontiere esterne, ridurre l’immigrazione irregolare, rafforzare la politica comune europea sul sistema di asilo (il cosiddetto sistema di Dublino), potenziare i dispositivi di migrazione legale, fare di più nei paesi di origine e transito”.
Quali sono gli obiettivi raggiunti? “Abbiamo rafforzato il mandato dell’agenzia europea Frontex per coordinare i rimpatri, abbiamo varato la legge Minniti per l’accelerazione delle procedure nazionali di asilo e la legge Zampa che si occupa dei minori non accompagnati, un gruppo sempre in maggior crescita. Se abbiamo raggiunto un calo del 21% di arrivi (104mila quest’anno rispetto ai 182mila dell’anno scorso) è dovuto all’azione forte del ministro Minniti – sentenzia Marc Hartwig -, abbinato al supporto dell’Unione Europea per stabilizzare la Libia. Non si può però parlare di successo: finché non troviamo un modo di stabilizzare il Paese sarà dura”.
“Sono parole grosse – replica Stefano Argenziano di Medici senza Frontiere, ribadendo la posizione critica della ong nei confronti dell’agenda e dell’approcchio hot spot-. Noi abbiamo equipe che lavorano in Libia e sentir parlare di stabilizzazione ci lascia perplessi. E poi Minniti ha dimezzato le garanzie previste dalla legge per i rimpatri, avere diritto a un grado di appello nella procedura di domanda di asilo è da considerare”.
“La fretta è stata la parola chiave degli ultimi due anni – critica Argenziano -. Chiudere frontiere, redigere numeri, firmare accordi prima di curarsi delle conseguenze e dei costi umanitari porta a una riduzione dei flussi migratori, ma è un dubbio procedimento di abbandono di una popolazione in uno stato precario di necessità. Non vuol dire proteggere le frontiere ma accanirsi sui più deboli: almeno il 30% della popolazione ha subito trattamenti violenti o di tortura nei paesi di origine o di transito, 3 su 5 dei nostri pazienti in Serbia sono vittime di violenza perpetrata da guardie di frontiera dell’Unione Europea. La nostra analisi è estremamente negativa, in rosso, perché la sofferenza va al di là dei colori di partito”.
E se c’è chi propone come soluzione rotte sicure per la migrazione e la gestione diretta da parte di un’agenzia europea della fase di scrematura tra migranti economici e richiedenti asilo (“risposta ottima ma difficilissima da attuare” come spiegato da Francesco Cherubini, docente di diritto internazionale dell’Università Luiss Guido Carli di Roma), c’è chi chiede spiegazioni alla “percezione negativa e impaurita” degli europei nei confronti dei migranti.
“L’incapacità politica di gestire un fenomeno impopolare stringe ancora di più i margini di azione dei governi – analizza il giornalista italo-tedesco Karl Hoffmann -. Siamo in un circolo vizioso in cui il problema che deve essere risolto diventa sempre più percezione di pericolosità, quindi mette in agguato i cittadini e rende impossibile la gestione per i governi. A qualcuno giova tutto questo caos, non dimentichiamo che la Libia ha altri interessi, essendo al nono posto nel mondo per riserve energetiche”.
Quindi, venendo al titolo dell’incontro, “no, non siamo sulla stessa barca – conclude il rappresentante di Msf -: ci sono quelli su una barca solida e quelli che naufragano, quelli che soffrono le conseguenze delle politiche migratorie e altri che guardano altrove e non rispettano le convenzioni internazionali. Per noi non c’è stata una crisi migratoria, piuttosto una crisi di ricezione. Ed è facile cadere nei populismi quando il problema politico non viene affrontato a dovere”.
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