Invocare “Mai più” in Israele, mentre muoiono ancora bambini
"Mi occupo di ricerca sull'Olocausto da 40 anni: non avrei mai immaginato che lo Stato ebraico avrebbe bombardato a morte bambini affamati"
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Carissimi lettori,
in questi giorni la comunità di Portomaggiore ha festeggiato i novant’anni del dott. Iosè Peverati. Grande uomo, grandissimo esperto di Lingua Ferrarese. Poeta, scrittore e traduttore di fiabe classiche in Ferrarese.
Oggi vi propongo un paio di “perle” del personaggio. La prima, una breve, ma intensa, significativa poesia. Si tratta di una storia in poche rime che ricorda lo stato di schiavitù a cui erano sottomesse le donne, addirittura nelle nostre terre, circa un secolo fa, forse anche meno. Rileverete la delicatezza, condita ad un po’ di timore nel chiedere all’uomo se aveva intenzione “ad druvàrla”, ovvero “gnirm adré”,una parafrasi per ottemperare al dovere coniugale, obbligatorio a quei tempi per la stragrande maggioranza delle “arzdóre” dell’epoca. Percepirete anche il quasi servile “voi”, col quale si rivolgevano “marito padrone”. La seconda tratta in modo ironico, della regina della tavola delle nostre zone: la “salama da sugh”.
Avevo iniziato, tempo fa, di proporvi prelibatezze Estensi con i cappelletti, andiamo avanti a parlare di nostri”magnarin” con la succulenta “salamina”, proposta dal grande Iosè Peverati! Buona lettura, Maurizio.
AM DRUVÈV STASÌRA?
Al témp quand ill filàva, ill nòstri nònn
Ill tséva lunghi tél, ill ricamava
lanzó, sugamaniƞ e po’ j’urnàva
con l’órl a gióran, tut ch’ill bravi donn…
ill burdigava fin ch’il j’era bònn.
-Quant incumbénz e quànt lavór ill fàva!-
Anch s’ era stufi, mai il s’lamentava:
aś purtànt dlà famié, trav e colonn…
E quand andar a lèt a gnéva l’ora
la dmanda pr’al so òm l’era preżìsa,
ma un póch cunfusa tut ill volt ancora,
sémpliz ufèrta ad spósa ch’la suspira:
“Am métia i mudandùn e la camisa
o gh’iv dgl’idèi ad gnìrm adré stasira?”
MI VOLETE STASERA?
Ai tempi in cui filavano, le nonne
tessevano lunghe tele, ricamavano
lenzuoli, asciugamani, e li adornavano
con l’orlo a giorno, le solerti donne …
S’impegnavano fin quasi all’impossibile:
mille incombenze. Come s’industriavano!
Anche se stanche, non si lamentavano,
travi portanti e solide colonne …
Quando giungeva l’ora del riposo,
a bassa voce e grande discrezione,
pudica, eppure semplice e sincera
questa era la domanda per lo sposo:
“Indosso le mutande o il camicione?
Quali intenzioni avete per stasera?”
LA SALAMA DA SUGH
Chì ‘n l’à gustàda mai, quand al la véd,
al la mìra susptoś, al rìza al naś,
al la prila, al la vòlta
e po’ al téƞta n’asàģ a dént alvà…
Cal spizgurìƞ ch’as sént ai bord dlà léƞgua,
càl savurìƞ ad ràƞzagh
– ‘pena ‘pena ‘na punta-
cl’amór fòrt e salà,
al prìm mumént al fa vaƞzàr iƞ fórsi …
Iƞvénz, chì gh’avrà fàt zà l’abitudn
e al l’à gustà stà gran specialità,
al capirà clè propria lì al sò bèl,
cal gust divèrs ch’al al palà.
As tòl dlà bòna càran ad ninìƞ,
l’as màśna, dop as zùƞta sàl e pévar,
‘na quàlch spèzia a piaśér e po’ a ś’impàsta
con négar viƞ nustràƞ,
la s’iƞsàca int la zié, las lìga béƞ,
l’as àsa int uƞ pòst frésch pr’aƞ so’ quant méś.
Ala fiƞ, bèla sùta, staśunàda
l’è la delìzia dì palà frareś
e ‘l deśidèri ad quii chi l’à asagiàda.
S’la tàula parciàda int i dì ‘d fèsta,
su la muntàgna bianca dal purè,
iƞ mèz dal sugh maròƞ, bèla fumànta,
al pòst d’unór l’è pronta: ach maravié! …
I padrùƞ i la guarda,
con i parént ch’j’è gnù da foravié,
tuti i la mira, tut a lié i s’iƞchìna,
davanti a lié, cana i capié…
Mi at riverìs, mié cara salamina! …
LA SALAMA DA SUGO
Chi non l’ha assaggiata mai, quando la vede,
l’ammira sospettoso, arriccia il naso,
la rigira e la rivolta
poi tenta un assaggio a denti alzati …
Quel pizzicorino che si sente ai bordi della lingua,
quel sapore di rancido
-appena appena una punta –
quell’aroma forte e salato,
i primi momenti ti fa rimanere in dubbio …
Invece, qui avrà fatto l’abitudine
ed ha già gustato questa gran specialità,
capirà che è proprio lì il suo bello,
quel gusto diverso che il palato.
Si prende della buona carne di maiale,
si macina, poi si aggiunge il pepe,
una qualche aroma a piacere e pois’impasta
con nero vino nostrano,
la s’insacca nella budella zia, la si lega bene,
la si lascia in un posto fresco per non so quanti mesi.
Alla fine, bella asciutta, stagionata
è la delizia del palato ferrarese
e il desiderio di quelli che l’anno assaggiata.
Sulla tavola apparecchiata nei giorni di testa,
su una montagna bianca di purè,
in mezzo al sugo marrone, bella fumante,
al posto d’onore è pronta : che meraviglia! …
I padroni la guardano,
con i parenti che sono giunti da fuori,
tutti l’ammirano, tutti a lei s’inchinano,
davanti a lei, leviamoci i cappelli …
Io ti riverisco, cara salamina! …
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