
Il pm Ciro Alberto Savino
Ergastolo con isolamento diurno di tre anni. È la richiesta di condanna del pm Ciro Alberto Savino nei confronti di Patrik Ruszo e Constantin Fiti, imputati per l’omicidio di Pier Luigi Tartari nel settembre 2015, dopo una rapina finita male nella casa sua casa di Aguscello.
La richiesta è arrivata al termine di una lunga requisitoria, durata oltre due ore.
La richiesta di pena. Nessuna attenuante concessa ai due imputati – gli unici a scegliere il dibattimento, mentre il terzo uomo, il ‘capo’, Ivan Pajdek, ha scelto l’abbreviato con una condanna a trent’anni -, neppure a Ruszo che, in sede di indagini, fu fondamentale per rintracciare il corpo del pensionato abbandonato in un casolare isolato. Per il pm quella collaborazione è venuta meno nel processo, quando Ruszo ha deciso di non sottoporsi all’interrogatorio, scegliendo invece le spontanee dichiarazioni “che non valgono niente e che non valgono per la chiamata in correità nei confronti di Fiti”. Tra le richieste di pena ci sono anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la decadenza dalla potestà genitoriale.
“Condanna con effetto dissuasivo”. Nel computo della pena il pm ha indicato l’ergastolo per l’omicidio aggravato dalla crudeltà, e pene che arrivano a cinque anni per gli altri capi d’imputazione (dalla rapina al trasporto di armi, all’uso delle carte bancomat della vittima) che portano così alla richiesta dei tre anni di isolamento diurno. Particolare rilevanza nel computo è stata data al fattore deterrenza: “È un fatto molto grave, che ha avuto un picco nel 2015. Ci sono stati altri episodio di rapina con omicidio, ricordo quanto accaduto a Cloe Govini a Renazzo. Questi episodi necessitano una condanna con effetto dissuasivo. Hanno abbandonato Tartari consapevoli che non poteva né muoversi, ne gridare, né era prevedibile un soccorso esterno. Si sono disinteressati del corpo, è morto dopo 4-5-8 ore e se non fosse morto per asfissia sarebbe morto di inedia. Lui gli dà i codici del bancomat e invece viene lasciato a morire in un casolare, incapretato. È un dolo molto alto che conferma ferocia contestata”.
Per il pm Tartari è morto nel casolare. Per la procura la consulenza del medico legale Rosa Maria Gaudio evidenzia con pochi dubbi che la morte di Tartari sia avvenuta nel casolare e non nella sua abitazione, dopo una lunga sofferenza dovuta alle fratture provocate dalle percosse (costato e malleolo), al fatto di essere “legato come un salame”, impossibilitato a muovere neppure un dito, e con il viso completamente avvolto da nastro adesivo e una maglietta che, alla fine, hanno portato alla sua morte per asfissia meccanica.
Savino nella sua requisitoria si è a lungo concentrato sulla partecipazione di Fiti sia alla rapina che all’omicidio, indicando una lunga serie di circostanze – dalle intercettazioni al fatto che avesse partecipato al sopralluogo con Pajdek il giorno prima, fino alla “spartizione” del bottino con gli acquisti nei due centri commerciali Ipercoop di Ferrara e poi ai Lidi – che fanno presumere necessariamente la sua partecipazione al delitto, come indicato inoltre sia da Pajdek che da Ruszo nei rispettivi interrogatori e dichiarazioni spontanee.
Le dichiarazioni di Ruszo. Poco da dire invece su Ruszo (difeso dall’avvocato Patrizia Micai), che ha già confessato la sua partecipazione alla rapina anche se, in sede di dichiarazioni, si è “discolpato” in parte, attribuendo le responsabilità maggiori per l’omicidio agli altri due complici. Ha anche detto di aver assunto della droga (il crystal, che dovrebbe essere una metanfetamina) prima del colpo e di aver posto un cuscino sotto la testa del martoriato Tartari, mentre gli altri due rovistavano il piano di sopra (dove ruberanno quadri e fucili al fratello Marco). Secondo Ruszo Tartari venne portato al casolare su decisione di Pajdek che sarebbe tornato col volto scoperto dall’uscita per testare il bancomat. L’anziano inoltre sarebbe stato portato via legato ma con il volto sostanzialmente libero, con solo una coperta sopra.
La difesa Ruszo ha provato a chiedere l’ammissione di alcuni testimoni – medici del carcere – per provare la tossicodipendenza del proprio assistito e spiegare l’impossibilità ad assistere a una delle udienze precedenti. Domande rigettate. C’è stato però spazio per la testimonianza di un’operatore della Polizia di Stato che ha seguito il caso e che – fatto che avrà probabilmente un seguito in sede di arringa difensiva – ha detto che dopo la cattura di Ruszo gli operatori parlarono con lui in italiano, senza interpreti, facendosi spiegare dove trovare Tartari. È un fatto abbastanza rilevante dato che Ruszo parla solo slovacco.
Le dichiarazioni di Fiti. Anche Fiti ha reso dichiarazioni spontanee (scritte e lette dal suo difensore e da lui firmate), dichiarandosi estraneo alla vicenda, giustificando la “confessione” dell’omicidio con la madre di suo figlio – Miriam Nalli, già comparsa come testimone nel processo – con la volontà di impaurire lei e suo padre. Fiti ha detto che quella sera si fece lasciare al Darsena City dopo aver accompagnato gli altri due nel Bolognese per consegnare un’automobile a un uomo che era ai domiciliari.
Ricostruzione che per il pm non ha alcun valore: quell’ammissione non avrebbe avuto senso, soprattutto in un contesto di rapporti molto difficili tra i due e per la volontà della giovane – da lui stesso ammessa – di allontanare da lui sia lei che il loro figlio. “Al Darsena City ci è andato dopo gli acquisti – ha specificato il pm – e dopo aver venduto la catenina che aveva comprato per il figlio in un banco dei pegni, giocandosi il ricavato a poker”. L’imputato a un certo punto ha chiesto il permesso di allontanarsi per andare in bagno e, con il solito fare arrogante, ha rivolto sottovoce un insulto all’indirizzo del pm.

Il medico legale Mauro Martini
La consulenza Martini sull’epoca del decesso. Prima della requisitoria del pm e delle spontanee dichiarazioni degli imputati, la difesa di Fiti (avvocato Alberto Bova) ha portato sul banco dei testimoni un proprio consulente, il medico legale Mauro Martini, ex direttore dell’unita operativa di medicina legale dell’Ausl di Ferrara per controbattere ad alcune importanti conclusioni della Gaudio, consulente del pm. Il tutto si è concentrato sull’epoca dell’omicidio (un’ora più o meno esatta, date le condizioni del cadavere, è stata impossibile da determinare). Secondo Marino la morte sarebbe avvenuta entro 3-4 ore dalla consumazione dell’ultimo pasto (una pizza con funghi e salamino), mentre per la Gaudio questa sarebbe avvenuta presumibilmente tra le 5 e le 8 ore. Un dato importante – basato sui resti del pasto nello stomaco, pochi – per la collocazione fisica di Tartari al momento della morte: a casa sua o nel casolare dove è stato abbandonato. Se avesse ragione Marino è più probabile che la morte sia avvenuta in casa, mentre la relazione della Gaudio post-pone quel momento in un’ora compatibile con la presenza del pensionato nel casolare. Il consulente della difesa, che ha lamentato la mancata chiamata per la discussione delle risultanze dell’autopsia, ha controbattuto anche sulla ferita del malleolo, trovato rotto, la cui “maturazione” secondo le sue osservazioni sarebbe avvenuta in tempi parecchio più ristretti rispetto a quanto sostenuto dalla Gaudio. Per il pm però le “la tesi di Martini è compatibile con la bibliografia ma non con le condizioni del caso specifico”.

da sinistra: gli avvocati Giacomo Forlani e Eugenio Gallerani
Le richieste delle parti civili. Dopo la breve pausa per il pranzo, è toccato alla parte civile, l’avvocato Eugenio Gallerani in rappresentanza dei fratelli di Tartari, Marco e Rita, a cui per la “dignità” mostrata, sono andate parole di conforto e comprensione da parte del pm: “Sono vicino a loro, portano una croce”. Il legale ha chiesto risarcimenti da 150mila euro per ciascuna delle due parti o, in alternativa, una provvisionale immediatamente esecutiva da 80mila euro per ciascun fratello. Oltre a incentrarsi sulla effettiva responsabilità dei due imputati odierni, anche lui richiamando intercettazioni, testimonianze ed eventi che ‘incastrerebbero’ Fiti oltre che Ruszo, una buona parte dell’arringa è stata dedicata al ruolo di Ruzena Sivakova, detta Rosy, madre di Ruszo.
Secondo la parte civile è molto probabile che Tartari sia stato portato via dalla sua abitazione perché la banda correva il rischio di venir riconosciuta, soffermandosi in particolare sul fatto che tutti e tre i membri erano stati più volte ad Aguscello, dalla mamma di Ruszo (in 15 giorni il cellulare che usavano tutti e tre ha agganciato le celle della zona per 70 volte).
L’avvocato Gallerani ha chiesto alla Corte d’Assise (composta oltre che dai giudici popolari dal presidente Alessandro Rizzieri e, a latere, Debora Landolfi) di valutare attentamente le discrepanze nelle dichiarazioni proprio di “mamma Rosy”, sia in sede di interrogatorio che in sede testimoniale, e il contenuto delle intercettazioni che la riguardano. Il pm Savino aveva anticipato che avrebbe chiesto la restituzione degli atti riguardanti la Ruzena per il reato di ricettazione, relativamente al televisore da 50 pollici ritrovato sotto il suo letto nell’abitazione di fianco a casa Tartari dove faceva la badante. Quel televisore era il frutto di un furto compiuto alla Salus il giorno prima dell’omicidio Tartari e le venne consegnato da Pajdek.
L’ultima parola per l’udienza della giornata è toccata all’avvocato Giacomo Forlani che rappresenta il Comune. La prossima udienza sarà a metà febbraio, quando saranno le difese a parlare e quando dovrebbe arrivare la sentenza.