Peccati, delitti, inganni. La trilogia dell’abbazia di Pomposa nata dalla penna di Marcello Simoni arriva al capitolo conclusivo. Il terzo e ultimo atto, “L’abbazia dei cento inganni”, uscirà il 23 giugno ma verrà presentato in anteprima il 15 maggio al Salone Internazionale del Libro di Torino. A dialogare con l’acclamato scrittore comacchiese sarà Vittorio Sgarbi.
Uno scrittore e un critico d’arte. Com’è nata l’idea di questa insolita presentazione?
Il sottotitolo dell’incontro è “Il medioevo fantastico di Simoni secondo Sgarbi”. Parleremo di romanzo storico e di arte gotica e medievale partendo dai miei romanzi, dove è forte il riferimento agli affreschi di Pomposa. Sarà un’occasione per approfondire gli aspetti dell’abbazia e in generale l’arte di Ferrara. Sono curioso di vedere che direzione prenderà l’incontro: io e Vittorio siamo due persone dalla formazione e dal carattere totalmente diversi. A moderarci ci sarà Alessandro Gnocchi, sarà un bel momento di confronto e una bella occasione per imparare.
E invece com’è il medioevo fantastico di Simoni secondo… Simoni?
La dimensione fantastica la uso in chiave avventurosa. È un modo per descrivere un medioevo che si deve vivere e non solo studiare; il medioevo è ancora vivo e la gente lo vuole vedere. Probabilmente devo a questo il successo di quello che scrivo.
Un successo che ti ha portato a superare il traguardo di un milione di copie vendute in Italia. Qual è il segreto?
Cerco di ispirarmi alla semplicità, di scrivere con un linguaggio semplice ma non banale, forte ma sempre comprensibile. È questa la struttura narrativa più coinvolgente, come dimostra la scrittura di James Patterson, uno degli autori che vende di più al mondo. Non c’è un segreto per il successo, basta scrivere il romanzo che vorresti leggere.
E quando il romanzo finisce? Come vivi questo ultimo capitolo?
È stato particolare concludere questa trilogia. Dopo più di 900 pagine, i personaggi erano come vicini di casa. Mi ero affezionato e li conoscevo bene; era semplice scrivere di loro perché sapevo già come avrebbero reagito. Loro continueranno a vivere liberi dalla mia penna, spero in maniera felice perché mi hanno dato tante soddisfazioni. Mi mancheranno il coraggio di Maynard de Rocheblanche, l’ambiguità dell’abate Andrea, le peripezie di Gualtiero, l’intelligenza di Eudeline che sarebbe dovuta essere una comparsa ma che, con la sua forza e astuzia, si è rivelata uno dei personaggi chiave della trama. Forse il mio preferito.
Hai citato tutti i protagonisti. Cosa dobbiamo aspettarci da loro nell’ultimo romanzo?
La storia inizia nel 1349 nelle selve di Ferrara. Maynard si trova invischiato a indagare in una vicenda oscura e intricata, quasi una coniuga di palazzo che affonda le mani in simboli oscuri tra magia nera e culto del maligno. Gualtiero sarà invece immerso nell’intrigo che riguarda la provenienza della sua famiglia, imparentata con gli Estensi, e dovrà fuggire e stringere i denti per proteggere i suoi cari e per diventare un mastro pittore. Lo stesso che affrescherà l’abbazia di Pomposa nel 1351, tre anni dopo la peste nera. Un espediente per i sopravvissuti all’‘apocalisse’ di guardare al futuro. Per questo Pomposa ha un valore simbolico per la cultura italiana ed europea: la forza di reagire.
A proposito di guardare al futuro… cosa c’è nel tuo?
Sto lavorando al mio nono romanzo, annunciato a Pietrasanta. Si chiamerà “Il Marchio dell’inquisitore” ma non voglio svelare altro perché lo sto scrivendo adesso ed è troppo prematuro per parlarne.
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