
Carmelo Barbagallo
“L’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi avrebbe consentito di porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio”. Ad affermarlo è il capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo, durante l’audizione in Commissione finanze della Camera di mercoledì 9 dicembre.
Barbagallo conferma così quanto già rilevato dal presidente del fondo stesso, Salvatore Maccarone, in una precedente audizione. Rimane fermo il punto che l’impedimento a tale salvataggio sia arrivato a seguito di una “preclusione degli uffici della Commissione europea, da noi non condivisa” con l’ulteriore chiarimento che senza l’ok da Bruxelles non si sarebbe ottenuto nessun assenso dalla Bce. “Vorrei agigungere – afferma Barbagallo – che nel momento in cui, su operazioni di questo tipo, non si ottiene il consenso della commissione europa siamo bloccati, perché, ad esempio, non è possibile ottenere neppure il ritiro della licenzia che è prerogativa della Bce e che a sua volta aspetta che sia la commissione a pronunciarsi”. Stessa opinione anche per Giovanni Sabatini, direttore generale dell’Abi. “Sarebbe potuto intervenire, non ravvisavamo gli estremi degli aiuti di stato – afferma Sabatini -. A noi risulta che il Fondo aveva avviato una riflessione per un intervento per risolvere la situazione delle quattro banche in amministrazione straordinaria. L’azione dell’Abi è stata quella di aiutare il Fondo a costruire il quadro giuridico e l’interpretazione delle norme europee per consentire l’intervento. La nostra lettura del quadro normativo europeo è che è espressamente prevista la possibilità che i sistemi di garanzia dei depositi svolgano interventi preventivi volti a trovare delle soluzioni per le banche in crisi”.
Ma su questo punto la Ue smentisce Bankitalia e l’Abi con un comunicato diffuso dal servizio portavoce ella Commissione. Secondo quanto riporta l’AdnKronos le modalità del ‘salva-banche’ sono state scelte dalle autorità italiane in autonomia, con l’Ue che si è occupata solo di “assicurare che le misure prese fossero in linea con le normative comunitarie e con le regole sugli aiuti di stato alle banche”. Bruxelles precisa che non c’è stata alcuna imposizione ma che la decisione di non far intervenire il Fitd “è stata presa dalle autorità italiane. Spetta alle autorità nazionali decidere quali strumenti utilizzare nei fallimenti di banche. In questo quadro – riporta ancora l’AdnKronos – il ruolo della Commissione è di garantire che quale che sia la misura presa, questa rispetti le regole Ue e in particolare quelle sugli aiuti di Stato alle banche, nell’ambito della comunicazione sulle banche del 2013. La Commissione – proseguono i portavoce – non ha sollevato preclusioni di principio sull’uso delle risorse nel fondo di garanzia dei depositi per intervenire sulle quattro banche. Il punto, è che questi interventi devono avvenire senza aiuti di Stato o rispettando le regole Ue sugli aiuti di Stato. Se c’e’ l’aiuto pubblico, le regole richiedono in particolare che gli azionisti esistenti e i titolari di obbligazioni subordinate contribuiscano ai costi in linea con i principi di condivisione delle perdite e questo – conclude l’Ue – punta a limitare le distorsioni alla concorrenza“.
Da rilevare però che l’intervento del Fitd per il salvataggio di Tercas è oggetto di una procedura d’infrazione intrapresa proprio dalla Commissione in quanto il Fitd è una ‘creazione’ del Testo Unico Bancario e, in buona sostanza, appare agire sotto il controllo e la direzione delle autorità statali (Banca d’Italia in primis). Leggendo il documento con cui l’Ue agisce contro l’Italia risulta che la Commissione non sia contraria all’intervento del Fondo in sé ma alle modalità con le quali si configura l’intervento stesso. In alcuni punti il Governo sembra perfino ammettere – agendo in almeno un caso in maniera contraddittoria rispetto alla propria linea difensiva – che alcune misure siano qualificabili come aiuti di Stato.
Ritornando all’audizione, Barbagallo ha ripercorso le fasi dei commissariamenti delle quattro banche – Carife, CariChieti, Banca Marche e Popolare Etruria – rilevando i presupposti nelle “fragilità dei singoli intermediari determinate da debolezze degli assetti di governo e nella qualità degli organi di amministrazione e controllo”. Da lì le ispezioni diffuse, le richieste di verifica, i piani di ricapitalizzazione quando i patrimoni segnalavano situazioni di pericolo e la “sostituzione degli organi aziendali” con l’imposizione di misure prudenziali.
“I commissari hanno fatto emergere l’effettiva qualità dell’attivo e fatto emergere le irregolarità”, prosegue Barbagallo, evidenziando come la gestione si sia protratta a lungo “per la difficoltà di trovare una soluzione di mercato pur intensamente cercata dai commissari”. Una soluzione mai trovata perché “lo scenario è cambiato”, e si è verificata “l’indisponibilità dei potenziali acquirenti ad assorbire l’ampio ammontare dei crediti deteriorati: negli anni della crisi – rileva il dirigente di Bankitalia – l’ammontare dei crediti deteriorati nel sistema era del 6%, ora è del 18% e per alcune di queste banche erano a percentuali anche del 40%“. Difficile acquistare a queste condizioni.
E così “a fronte del rapido degenerare” l’unità di risoluzione di Bankitalia ha attivato i poteri introdotti dal nuovo quadro normativo europeo: “È stata assicurata la continuità operativa delle banche in crisi – afferma Barbagallo -, sono stati tutelati i risparmi e i depositi, è stata tutelata l’occupazione, senza impiego di risorse pubbliche e senza bail-in dei creditori e la prospettiva di una liquidazione atomistica. Le nuove norme avrebbero costretto a coinvolgere anche i 12 miliardi di euro di massa non protetta, inclusi 2,4 miliardi di obbligazioni non subordinate e non sarebbe stata assicurata continuità delle funzioni essenziali per le quattro banche. Alle 200mila imprese affidate si sarebbe dovuto chiedere il rientro immediato e si sarebbe dovuto chiedere il sacrifici di quasi un milione di risparmiatori e quasi 6mila lavoratori“.
Parole anche i risparmiatori ‘bruciati’ dal decreto salva banche, soprattutto con lo sguardo rivolto al futuro, con la proposta di “vietare il collocamento delle passività più rischiose presso la clientela al dettaglio”.
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