Carissimi, oggi vi propongo un racconto, (in italiano e traduzione in ferrarese, per ama così leggerlo,) col quale mi fu assegnato il primo premio, con tanto di medaglia d’oro, nel “Concorso Letterario Dott.Giorgio Fini”, il 30 aprile 2003, a Modena il primo premio.
Cito raramente i riconoscimenti, pur avendone ottenuti parecchi. Questo, però, oltre alla “tangibile” medaglia d’oro, mi ha reso orgoglioso di vincere in terra modenese, con un racconto che ricorda a i più, ed esalta, gli sconosciuti prodotti figli della Terra Ferrarese.
Mi piace pensare che i grandi della Terra, ma anche i più umili, cibandosi di qualcosa di nostrano: pasta assemblata con grano delle nostre terre, riso, derivati dal girasole, dalla soia, dalla colza, dalle miriadi varietà di frutta, in qualche modo realizzino che il loro corpo sia un po’ Ferrarese, quindi nostri fratelli-figli, per merito della nostra Grande Balia ! Utopica favola? Fate voi…buona lettura! Maurizio.
LA “GRANDE BALIA”
(UN VECCHIO, L’ILLUSIONE, LA TERRA)
Guido assorto la mia utilitaria percorrendo la vecchia Strada Provinciale che porta verso il mare. Davanti a me si apre la pianura coltivata e squadrata perfettamente; i colori sono quelli della fine Estate. Sotto un cielo azzurro, macchiato da qualche nuvola nera, adagiata laggiù sul vicino mare, esplodono i cromatismi rossicci delle prime foglie morenti, mentre resiste il verde acuto d’altre piante, ancora in piena attività biologica. Il giallo intenso degli ultimi appezzamenti di girasole, non ancora raccolti, si confondono lontano, con lo smeraldo delle capezzagne e dell’erba, che accompagna il corso dei canali, a mo’ di sciarpa protettiva.
Dopo qualche chilometro, si staglia il grigio del terreno appena arato, ove dimoravano colture di grano, mietuto da pochi giorni. Nell’aria s’avverte il caratteristico profumo di terra mossa, odore di polvere uscita dalla ferita che l’aratro produce alla terra aprendola, squartandola e rivoltandola; che poi l’agricoltore sminuzzerà con appositi frangizolle, per prepararla ad accogliere i semi dei raccolti futuri. Meno romantico d’altri olezzi agresti, ha in sé il fascino di rinascita del soffio vitale; che riprenderà fra alcuni giorni in quei campi, allorché il seminato spunterà verso la vita, verso il cielo, nel ciclo biologico millenario, che da sempre s’amalgama con la campagna.
Sono arrivato al paese. Scendo dall’automobile, i nonni mi vengono incontro festosi!
Entro nella loro dignitosa casetta, ai margini dell’abitato, per i soliti rituali…
— — —
Il vecchio avo, ormai ultra novantenne, ma ancor sorprendentemente lucido, mi chiede di accompagnarlo, per una passeggiata. Ha voglia di conversare. Sospira profondamente, inizia a parlare: in dialetto naturalmente, la lingua che anch’io amo tanto. Gli piace leggere, e s’è così costruito una buona dose di cultura, potrebbe dialogare tranquillamente in ottimo italiano, ma sostiene che in ferrarese gli s’apre più il cervello, e i concetti s’amalgamano in modo migliore con il parlato:
-So bene che certe mie idee, teorie, ti fanno sorridere, ma…prova a seguirmi con un po’ di pazienza se puoi!… Tanti anni fa, le balie allattavano i neonati, quando per svariati motivi, i bambini non potevano essere alimentati con il latte delle mamme; quelli nutriti dalla stessa donna, erano chiamati “fratelli di latte”, di conseguenza, un po’ figli della balia, perché in fin dei conti, il loro corpo, s’andava formando, con sostanze vitali di queste “mamme di latte”!-
Si ferma, mi guarda. Le fessure degli occhi, sembra vogliano scrutare se in me c’è la diffidenza un po’ ironica, di chi ascolta con rassegnazione gli anziani; se lo intuisse, immancabilmente chiuderebbe il discorso… Capisco che in quella sosta, anche verbale si cela una riflessione che sta per uscire, una delle sue teorie che mi affascinano, e che da sempre mi propina!
Lo guardo senza parlare, invitandolo a continuare con un semplice cenno d’incoraggiamento.
Solleva la mano, puntando l’indice verso gli appezzamenti di terra davanti a noi e riprende alzando il tono di voce, quasi infervorandosi:
-Vedi la campagna che hai davanti? Sono migliaia d’ettari di coltivato. Questo “Basso Ferrarese”, umiliato, dimenticato, offeso e mortificato a volte. E’ la terra che elargisce grano, riso, frutta, barbabietole da zucchero, girasoli, pomodori e patate. Da Goro a Portogaribaldi poi, i pescatori del nostro litorale, riempiono le tavole degli italiani di pesce fresco: triglie, orate, passere, calamari, tonni, anguille, vongole, cozze, ed altro!- (Ha l’abitudine un po’ mista a pedanteria, d’enumerare tutte le parti del discorso con relativi personaggi o cose che ne fanno parte, e che t’appioppa. In questi momenti della sua elucubrazione, mi ricorda il cantilenante mormorio dei fedeli in chiesa, alla recita del rosario. )
– Quanta gente nel nostro Paese, si ciba di prodotti usciti da queste lande? E’ possibile non pensare che tanti esseri umani sono “a balia”, quindi, un po’ anche figli di questi territori?
Uomini, donne, bambini, vecchi e giovani; artisti, operai, pezzenti, miliardari, galeotti, sorveglianti, impiegati, prostitute, suore, lavoratori, disoccupati, cantanti, suonatori, pescatori, contadini, omosessuali, eterosessuali, attori e spettatori! Numerosissimi italiani, in qualche modo, hanno alla fine, ingurgitato un prodotto di questa terra. Tantissimi di costoro hanno dentro il corpo, molecole uscite dal suolo ferrarese per mezzo di grano, granoturco, mele, pere, aglio, pomodori, barbabietole, girasoli, cavoli, soia ed altri prodotti della terra. Direttamente o trasformati in farine, olio, mangimi per animali, sono entrati all’interno d’esseri viventi, dei quali poi l’uomo si ciba. I grandi prosciutti, i prelibati formaggi, le gustose mortadelle, i panettoni, i pandori, la pasta secca o fresca, il pane, le merendine, i gelati, il torrone di Cremona e i babà di Napoli,eccetera eccetera.
Insomma, tutto ciò che nasce da animali d’allevamento ha radici che partono da qui, le tonnellate di mangimi prodotti con granturco, soia, colza ed altro che alimentano quelle bestie, partono in gran parte da queste zone. Perfino le deiezioni, trasformate in concime per oliveti e vigneti veicolano particelle di materia che nasceva proprio da queste lande, quindi: prelibati oli d’oliva e vini sublimi di Piemonte, Puglia, Sicilia, Friuli, Toscana, Calabria, Umbria, possono contenere una pur piccolissima parte di sostanza proveniente dai lotti di terra ferraresi! Probabilmente tra cent’anni si scopriranno parti della materia ancor più piccole, quando si scoprirà il DNA del DNA, gli scienziati non potranno fare ameno d’accorgersi quanto di ferrarese c’è negli esseri viventi in tutto il Mondo!
Sai di chi sono i meriti di tutto questo? Sai chi per primi hanno contribuito a che queste terre diventassero tanto fertili e produttive? Noi: gli “scarriolanti”… Sì io ho lavorato, con la carriola e il badile, per sfamare la mia famiglia. Ciò che la gente non conosce, è la miseria di salario che si guadagnava. A fronte di un orario giornaliero, variante dalle dodici alle sedici ore, la paga, consisteva in cinquanta sessanta centesimi; un chilo di pane ne costava quarantacinque, e la carne si pagava all’incirca, per chilogrammo una lira e settanta!
Sono passati anni, guerre e ricostruzione. Non ci sono più “scariolanti” e braccianti. Ora ci sono macchine moderne, che lavorano per gli uomini, però quella terra là, continua a mandare per ogni dove tracce di territorio, testimonianze tangibili di materia che s’insinua dentro il corpo della gente, apparentandoci con loro. Il Basso Ferrarese è là in tutta l’Italia!-
Apre la mano maestosamente, ripete il gesto semicircolare dell’antico seminatore quasi volesse in un atto simbolico, spargere semi del suo pensiero universalmente!… Poi, si gira, mi guarda di sottecchi, ha un certo mezzo sorriso mefistofelico, mi ha preso in giro? Un tempo, l’ironia era sua prerogativa, ma ora… chissà? A passo lento s’avvia verso casa… Seguo meccanicamente quella vecchia ricurva figura che cammina lestamente, pur appoggiandosi ad un bastone… Sono un po’ perplesso!
— — —
E’ passato qualche tempo da quell’ultimo incontro con il nonno… Lui ora non c’è più, riposa nel piccolo cimitero di paese.
Non volle assolutamente essere messo in “condominio”, all’interno delle assurde tombe sospese sui muri. Pretese fortissimamente d’esser inumato in terra… Poco prima di morire, disse a Don Primino, il parroco, che così sarebbe poi entrato nel circolo vitale della materia organica, proponendo il vecchio concetto, un po’ onirico, un po’ metafisico, che mi creò confusione mentale, un giorno, durante una certa passeggiata!
Ad ogni modo, mi piace pensare che, l’amico siciliano col quale sto conversando, mentre ci degustiamo un caffè, qui davanti al Castello Estense a Ferrara, è un po’ mio “fratello di terra”, figlioccio di quella gran “balia”
— — —
Sono nel mio letto, è notte, sogno un vecchio sospeso nel vuoto che, davanti ad una gran pianura allarga il braccio destro lentamente, con gesto maestoso… Il paesaggio circostante, che di primo acchito sembra un enorme campo di terra arata; comincia a brulicare d’esseri umani, che come usciti da una pagina della Divina Commedia, prendono forma e crescono, crescono…Poi, il Personaggio, si gira verso me, dalla nebbia che regola il mistero del sonno, si forma come un disegno, lentamente s’evidenzia un viso: è il nonno. Mi guarda, apre la bocca, par voglia dire qualcosa, ma poi, la rinchiude senza parlare…sorride fa un cenno che sembra di diniego con la testa, come a scusarsi di chissà ché, e scompare! Mi sveglio!
FINE
Maurizio Musacchi
LA GRAN “BALIA”
(Un vèć, l’iluśióη, la tèra)
Dnànz a mì as vèrz la pianùra cultivàda e squadràda in mod perfèt. I culór j’è quéj dlà fiη Istà. Sòta al ziél azùr, macià da ‘na quàlch nùvla négra, pulaciàta lazò sul mar ach gh’è davśìη. A sciòpa i culòr rùsìz dill primi foj chi è dré murìr, in tal méntar al tiéη bòta al verd fòrt d’altri piant, iηcora in pìna vita. Al zàl fort di gli ultim pèz ad girasòl, briśa iηcora racòlt, is cuηfònd luntàη col verd dill cavdàgn; anch dl’erba cl’a cumpagna al cors dì canaj, cmè ‘na sciarpa protetìva.
As ved béη al grisòr dlà tèra péna arà, iηdòv a gh’éra piaηtà racòlt ad furmént, amdést da póch dì. Int l’aria as sént al profùm dlà tèra mòsa, udór ad pólvar gnùda fóra dàla frìda che al varsùr al fà àla tèra varzéηla, sbargàηdla, e rivultàndla; che po’ al cuntadìη al farà a pcunzìη con i fraηgizol, par preparàrla a cójar i sèm di racòlt dl’admàη. Meη rumantich d’altar udòr campagnó, quand al sumnà al spuntarà vers la vita,vers al ziél, int al muvimént dlà vita milenàri, che da sémpar als mìscia con la campàgna.
A soη arivà al paés. A viéη zò dàla màchina; i nòni im viéη d’iηcontar con galisagna! A vagh dentar int la so’ bèla caśina, póch fóra dal bóragh, par i solit usàηz ad baηvgnù…
— — —
Al vèć nunòη, ormai óltri i nuvant’aη, mo’ iηcora purasà lùcid, al m’admanda d’acumpagnàral, par ‘na spadzàda. Al gh’à vója ad ciacaràr. Al mànda un suspiròn, e al cumiηcia a dscòrar: in dialèt naturalmént la ciacaràda che a mì l’am piàs tant. Agh piaśéva àd lèzar, e al s’è acsì fat una bòna baś ad cultura, al putrév ciacaràr tranquilamént con n’italiàη purasà bòη, mò al dìś che in fraréś s’agh vèrz al zarvèl, gl’idei is mìscia mèj che iη italiaη.
-Al so’ béη che zèrti mié idèi, zerti teorii, it fa ridar, ma…próva a tgniram a dré coη uη póch ad paziéηza s’at po’!…Tant an fa, il bàli j’alatàva i putìη péna nàt, quand par divèrs mutìv iη putéva briśa èsar alatà àl tétt dill màdar; quéj chi éva tità dàla stésa dòna j’éra ciamà “fradié ad làt”, acsì che j’era uη póch fiò dlà bàlia, parché ala fiη di cont, al so’ corp als furmàva, coη sustàηz vitàli ad st’ill “mam ad lat”!-…
Als ferma, l’am guarda. Il sfès di òć, am par chi voja védar sé déηtar ad mì a gh’è la difidéηza uη póch da tór in zìr, ad chi scòlta con rasgnaziòη i vèć; se al la duves capìr, subit al lasarèv ad ciacaràr con mì…A capìs che in clà farmada anch ad dscòrar as lóga na riflesiòn che l’è dré gnìr fóra, una ad ch’ill so’ teorii che im piàs da màt, e che da sempar al mét int al zarvèl!
Al guard senza ciacaràr, invidàndal a cuntinuàr con un gest d’iηcuragiamént. L’aliéva la maη, puntand l’indiś vers ill pèz ad tèra dnàηz a nù e al ricumiηzia; alzànd la vòś squaś agità!
-Védat la campagna che at gh’à dnàηz? J’è miàra d’ètar cultivà. St’al “Bàs Fraréś”, umilià, dasmandgà, ufés e murtificà dill volt. L’è la tèra cla dà al furmént, riś, frùta, biétul da zùcar, girasòl, paηdòr e patàch. Da Gòr a Pòrt Garibaldi po’ i pascadùr dill nostar spiaģ, impinìs il tàul d’italiaη ad pés fresch: trìli, pàsar,calamàr,tón, aηguill, voηgul, còz e àltar!- (Al gh’a l’abitudin uη poch masciada a padantarié ad ripètar tuti ill pàrt dal dscòrs con i sò parsunaģ o quèj chi iη fa pàrt, ch’al t’iηtriga. In quèst mumént dill sò spèzie ad litanii, al m’arcorda la birimbòla di stiàη iη ciéśa, ala rèzita dal ruśàri).
-Quaηta zént int al nostar Paéś, als sustiéη con i prudòt gnisést fóra da stì co’? El pusibul briśa paηsar che tant èsar umàη j’è “a balia”, quiηdi, un póch fiò aηch di nòstar teritòri? Om, dòn, putìη, vèć e zuvnòt; artista, operai, morta ad fàm, sgnurùη, avaηz ad galèra, pascadòr, cuntadiη, fnòć, e brisa fnòć, artista e spetadùr! ‘Nà quantità iηfinida d’italiaη, int uη qualch mòd, jà ala fiη, butà zò un prodót dlà nostra tèra! Tut i gh’à dentar d’ill mulècul gnùd fóra dàla téra frarésa e adès par mez dal furmènt, furmantòη, pum, pér, aj, pandòr, bietul, girasol, càul, soja e altar prodót dlà tèra. Diretamènt trasfurmà in farìη, òli, mangim par bèsti, j’è andà dèntar d’èsar vivént, ach magna l’òm. I gràn parsùt, i prelibà furmaj, il gustòśi murtadèl, i panetùη, i paηdòr, la pasta séca o frésca, al pàη, il merendìη, i zlà, al turùη ad Cremona e i babà ad Nàpul.
Iηsòma, tut quél ach nàs dal bèsti d’alevamént al gh’à radiś ch’il partìs da chì, il tonelàt ad mangìm fat da furmantòη, sòja, cólza, e àltar, chi dà da magnàr al bèsti, i partìs da stì cò chì. Infìη la mèrda, trasfurmà iη cuηzìm par ulivét e vignét, tànt ché i ciàpa dentar dill partsìn ad matèria clà naséva propria da st’ill lànd, quiηdi: bunìsm òli d’uliva e viη mraviglios dal Piemònt, Puglia, Sicilia, Friuli, Tuscana,Calabria, Umbria, i pól avèr deηtar una pur cicinìna pàrt ad sustànza clà viéη dai lòt ad tèra fraréśa! L’è fazil che tra zènt ann as s’as squaciarà part dlà materia incora più pìculiη, quand a s’as squaciarà al DNA dal DNA, i scienzià in putrà far di mén d’iηcòrzras quant ad Fraréś gh’è int i èsar vivént in tut al Mond!
Sat ad chi è i merit ad tut quést? Sat che i prìm chi à fat in mòd che st’ill tèr i dvantàs fèrtili e produtìvi? Nuàltar: i “scariulànt”…Sì a j’ò sgubà con la cariòla e al badìl, par sfamàr la mié famié. Quél che la zènt l’an tgnòs briśa, l’è la miseria e al salari che as ciapàva.
Fasénd uη uràri ad giurnada, dal dodś al sédas ór, la paga l’éra ad ziηquaηta, sànta zantèsum; un chìlo ad paη n’iη custava quarantazìηch, la càraη la custava zirca una lira e stàηta al chilo! J’è pasà an, guèr e ricostruziòη. Aη gh’è più”scariulànt” e brazànt. Adès a gh’è dill màchin muderni, chill lavora par j’òman, però clà tèra là la cuntinua a mandar iηdapartùt tràcia dal sò teritòri, testimuniànz ch’as pol tucàr ad matèria clà và déntar al corp dlà zént, imparantandas con lór. Al Bas Fraréś l’è là iη tut’Italia!-
Al vèrz la maη con maestosità, l’arpèt al gèst in semizircul dal sumnadòr dnà volta squaś al vlés con un gest cmè da simbùl, spargugnàr la sménza dal sò pansiér in da par tutt l’Univers!…Po’ als zira e alm gvarda ad sutécc, al gh’à un mèz suriś da diàul, ch’al m’ava tòlt in zìr? ‘Na volta tór pr’al cul la zént l’era al so’ pasatémp preferì, mo adès… chisà? Piaη pianìη als’invèja vers cà… A tién a dré clà vècia figura cuciada clà camina sveltamént, pur pugiàndas s’al bastòη…A soη un po’ sòra paηsiér !
— — —
E’ pasà dal tèmp da ch’l’ultum iηcontar con mié nunòn …Lu adès l’aη gh’è più, als póηsa par sempar int al pìcul zimitèri dal paeś. Al n’à vlèst asolutamént èsar mìs iη “condominio”, deηtar ad ch’ill asùrdi tomb suspéśi sovra i mur. L’à preteś coη tùt ill sò fòrz d’èsar suplì iη tèra… Poch prima ad murìr,l’à dìt a Don Primiη, al pàruch, che acsì al sarév eηtrà deηtar int al zircul vitàl dlà matèria organica, arcurdand uη póch al vèć paηsiér un póch ad sógn, uη poch ad faηtaśiè, che al m’à creà una zerta cunfusiòη mental, in t’al mèz dnà zèrta spadzàda!
In ogni mod, am piaη ad paηsàr che, l’amigh siciliàη che dré ciacarar con mì, iη t’al mentar che bvèn un cafè insièm, chi, dnanz al Castell Estense ad Frara, l’è un poch al mié “fradel ad tèra”, fiulègn ad clà gran “balia”.
— —- —
A soη int al mié lèt,l’è nòt, a sógn un već suspèś int l’aria che, davanti a ‘na graη pianura al slàrga al braz dèstar piaη piaη, coη gest maestòś…Al paesaģ tut d’intòran, àla prima ucià al par uη gran camp ad tèra aràda; al scumiηzia a èsar cmè pìη d’òm, che cmè gniśést fòra da ‘na pagina dlà Divina Cmèdia, i ciàpa fórma e i crés, i crés…Po’ al Parsunaģ al’s’zìra vèrs ad mì, dàla fumàna clà règula al mistèri dal sóη, as fórma cmè un diségn, pianiη pianiη as vèd sempar più ciàr ‘na fàza: l’è al nunòη. L’am guarda, al vèrz la bòca, a par ch’al vója dir quèl, ma po’al la sèra seηza dscòrar…al rìd fasénd un segn che al par un dir ad no con la testa, cmè par scuśàras ad chisà còsa, a al sparìs! Am śmisi!
FIN