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9 Febbraio 2015

La famosa gavetta

di Gianni Fantoni | 3 min

Ogni tanto qualcuno mi chiede quale sia il percorso più idoneo per arrivare a fare l’attore, o il comico o, genericamente, a lavorare in televisione. Come se ci fosse una ricetta definitiva, una specie di funzione matematica che da 1 + 1 dia come risultato un sicuro 2. Ma non è così, ognuno ha un proprio percorso ed è difficile da riprodurre. Ad esempio, Alberto Sordi fu bocciato all’ammissione dell’Accademia dei Filodrammatici di Milano ma qualcosina poi è riuscito a combinarla ugualmente…

A guidare la realizzazione di un sogno, qualunque esso sia, sono sicuramente il talento e la tenacia, senza dimenticare una discreta dose di fortuna, che però poi da sola non basta. I percorsi sono imperscrutabili. A giudicare dalla mia estate del 1986 non avrei poi immaginato un evolversi degli eventi in così mio favore. Con una formazione del tutto classica (batteria, tastiere, chitarra, basso, sax e cantante) partecipai alla prima – ed ultima – tournée dell’orchestrina autoctona “Liscio, gasato, ferrarese”: con un colpo di genio e un po’ di goliardia storpiammo un famoso spot dell’epoca che recitava “Liscia, gassata o… Ferrarelle”. Noi eravamo esattamente così: a metà, tra l’orchestra di liscio classica e qualcosa che c’entrava malamente con Arbore e Jannacci, e il repertorio cambiava a seconda del pubblico davanti. Io, non sapendo suonare nessuno strumento, m’impegnavo ad agitare più o meno a tempo due maracas giocattolo di colore blu e a fare il presentatore. E basta. Mai in un’orchestra liscio s’era visto uno che facesse solo il presentatore! Io lo facevo, aggiungendo ogni tanto qualche battuta. Alcune funzionavano discretamente, anche se erano un tantino sopra le righe: ad una Festa de l’Unità dissi a certi attempati ballerini: «Ballate! Ché se no vi si coagula il sangue».

In compenso poi, visto il ritmo esagerato che era partito da noi per una polka (“La spippola”), il pubblico ci rispose a tono: una volta finito di roteare come tornadi per restare a tempo qualcuno urlò: «La prossima volta vi veniamo dietro con la motocicletta!».

Una volta ci pagarono in salsicce, crude. Al mare, Lido delle Nazioni, retro di un hotel adibito a piscina con tavoli tutti attorno. Già alle prove pomeridiane cominciammo con un malinteso: il gestore, romagnolo, passando più volte vicino a noi, a mezza voce diceva “eh, burdèl, burdél…”, che in ferrarese traducemmo con “casino, volume troppo alto”. Al terzo “burdél” lo portammo quasi a zero. Mentre qualcuno di noi già mugugnava perché a quel punto lì avremmo potuto risparmiare sul noleggio dell’impianto, scoprimmo che in romagnolo “burdèl” vuol dire “ragazzo”: il gestore, allestendo i tavoli, ci stava semplicemente incoraggiando…

Alla sera sfoggiai quella che secondo me era una serie di interessanti battute, ma il pubblico pur numeroso non andò oltre qualche tenero sorriso di circostanza. Abbacchiato da quella magra performance volli però chiedere ugualmente il parere al gestore, che prontamente mi tranquillizzò sorridente: «Bene! Considerando che erano tutti tedeschi!…».

Ma la figura a cui sono più affezionato è quella relativa ad una delle prime serate tutte mie, a Ferrara, nella mia città, in un locale che ora non c’è più. Prendo l’ingaggio e convinco un paio di amici a venire con me, a farmi un po’ da claque. Arriviamo con un paio d’ore d’anticipo rispetto a ciò che dice la lavagnetta fuori: “Ore 23 cabaret con Gianni Fantoni”. Entriamo lo stesso. Sguardo sorpreso di una ragazza che sta ancora lavando per terra a locale vuoto. Io, orgogliosamente gonfio: «Buonasera, sono Gianni Fantoni!» E lei: «…ha prenotato?»

Beh, si era lì per ridere. Avevamo solo cominciato prima del previsto!

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