Al “spingul”. Ovvero è metafora della vita, in pochi versi l’altalena-vita va avanti ed indietro, fino a fermarsi, per sempre, lasciando dietro, solo un soffio di vento …
Al spìηgul dlà vìta !
Cmè ‘na vulandra ch’as ràpa iη ziél,
l’è al spìηgul dlà vìta.
Tavanàr int al témp,
strazabisàca ad paƞsiér ach va,
patgàr int la cavdàgna a réƞt al spazi,
ch’al t’iηvèla milurdìη;
e quand è pasà j’ aη…
e t’at sént ‘na ratàra àch zìra a pinziηcóa,
imbarblà e laηtì,
una parpàja, ach šèra il śò àl par sémpar,
e t’at cun d’arcord cmè l’avanti e iƞdré,
d’un spìηgul che prèst o tardi…
al’s farmarà ad cunàrat,
e clà fòla šcrìta int st’al mond par tì
la farà la bèla par šempar !
Agh vaηzarà dó cord ligà a ‘na tòla vòda,
mòša sól da n’réful ad garbìη!
L’ALTALENA DELLA VITA
Come un’aquilone che s’arrampica in cielo,
è l’altalena della vita.
Perdere tempo in quisquiglie,
dispendioso di pensieri che vanno,
camminare nella capezzagna vicino allo spazio,
che ti circonda scaltro;
e quando passano gli anni …
e ti senti un ferrovecchio che gira a casaccio,
con le ossa rotte e deperito,
una farfalla, che chiude le ali per sempre,
e ti culli di ricordi come l’avanti indietro,
di un’altalena che presto o tardi …
si fermerà di cullarti,
e quella favola scritta in questo mondo per te
scapperà per sempre!
Rimarranno due corde legate ad un’asse vuota,
mossa solo da un refolo di libeccio!
Di Maurizio Musacchi 1° Premio a Bondeno Conc.Soc.Operaia
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Continuano le pillole di grammatica ferrarese.
2) Trascrizione dei vocaboli
Delle voci ed espressioni dialettali che entrano nel contesto grammaticale, si dà la trascrizione che meglio si avvicina alla pronuncia corrente, marcando i fonemi con l’accento e con i segni distintivi scelti fra quelli consentiti dalle comuni trascri-venti e dai PC, segni che comunque ben poco differiscono da quelli specialistici ai quali di solito si uniformano i testi di dialettologia.
Per ognuna delle parole, vocaboli o lemmi, si riporta talvolta il significato che più si avvicina al contenuto dialettale, che può essere identico, differito oppure diverso in rapporto al corrispondente italiano, risultando in ciò impegnativo l’intento espressivo che il dialettofono assegna ai numerosi elementi che mancano alla lingua.
La diversificazione delle sillabe e delle parole esaminate, dalla forma originaria a quella dialettale, viene interpretata in relazione ai principi generali, vale a dire ai modi di plasmare (o di ‘ottenere’) le parole, che regolano il dialetto ferrarese, inteso nei suoi aspetti tipici o arcaici che dir si voglia.
Per quanto riguarda i caratteri impiegati, si dànno in corsivo le parole, le frasi dia-lettali e pure i riferimenti, sia in latino, che in altre lingue; in stampatello la frase-ologia descrittiva. In grassetto vi sono gli esponenti e le parole di base, come pure le lettere iniziali di termini come di voci su cui si intende richiamare l’attenzione, nonché S o C dei nessi dove una delle due consonanti ha suono disgiunto rispetto
all’altra (sćiàva schiava, onde evitare la lettura sciàva egli sciava; vésćia ‘viscola’ rametto di salice e śvasćiazàr colpire con la ‘viscola’; ihmasćiàr mescolare, sćìna secchiolina. Il suono marcato del nesso sc- di scavàr, scuria, ecc., è lasciato tale e quale (V. premessa ai lemmi con S iniziale).
Fra virgolette semplici sono poste parole od espressioni di riferimento, fra virgolette doppie i detti, le citazioni tratte da autori e da documenti.
Gli scritti in vernacolo, sia di prosa, sia di poesia, non possono venire intesi senza l’uso dell’accento. Perciò, a parte le posizioni che impongono il ricorso all’accento grave (stèla, fòs, mètar, tòr, stèlla, fosso, metro, toro) o acuto (stéla, fóś, métar, tór, stélla, foce, mettere, torre) ed a quello delle tronche (cafè, purtà, santì, vulatié, snà) o delle apocopate (es. purtàr, santìr, fradlégn, unór), si adotta anzitutto il criterio di accentare sempre le voci verbali (purtàr, santìr, cójar, dàrghin, éva, fùs, fés, tàial). Qualora non provochi incertezza, si marcano con cadenza decrescente i sostantivi, gli aggettivi, i pronomi. Su avverbi, articoli, particelle, non si porrà l’accento che in casi particolari.
L’apostrofo viene contenuto a segnare le posizioni proclitiche, le enclitiche e certe elisioni, comprese quelle date dagli articoli. Per tale motivo non è inserito nei nu-merosi casi di sincope e di aferesi, come taluno intende facendosi scuola dello italiano anziché del gallo-italico, matrice fonetica anche del DF.
Nonostante quanto si può osservare negli scritti correnti, il ferrarese non ha consonanti doppie e l’esatta trascrizione fonetica non può accogliere il ricorso a ss, zz per riconoscere questi suoni forti, quando la dialettologia ha da tempo risolto la questione apparente adottando s e z con accento o altro segno (qui ś e ź), s e z senza segno, rispettivamente per i suoni sonori o dolci e per quelli sordi o aspri.
Si ricorre invece alle doppie solo quando si in-contrano suoni chiaramente intensi, come in certi etimi e nell’incontro fra nessi e morfemi, cioè:
– nelle forme sincopate del tipo: mi a currò io correrò, lu l’currà lui correrà, ela la zcurrà discorrerà, ssanta sessanta, ecc.
– nelle forme proclitico-sincopate del tipo: ssacà o s’sacà (dis-saccata, colpo dato con un sacco: sacà è quanto ne sta in un sacco pieno); ssasà o s’sasà (dis-sassata), ssalamà o s’salamà (dis-salamata, colpo di salame); in parole disgiunte, solo la pronuncia porta allo stesso esito: fàl lauràr, mar rabióś, in n’Ariàh, ìv vandù?, àt tòlt?, fallo lavorare, amaro rabbioso, ad (in) Ariano, avete venduto?, hai preso?.
– nel plurale femminile delle voci ossitone (accento sull’ultima sillaba), uscenti con -n o -l, ove la sillaba finale espone consonante molto intensa (balìnn, madònn, dill dònn, all ròd, pr’ill śbar, colònn, galànn, zihch pill, sié mòll, spinn, a fronte dei maschili come putìh, spih, umùh, anch’essi plurali), rispetto al plurale femminile dei parossitoni (aventi accento sulla penultima sillaba, es. biétul, canàgul, fràgul).
Gli ossitoni femm. in -óh, restano immutati (ill cahzóh) e così le forme che escono con nessi consonantici (ill form, ill brógn, all cunférm, ill maràsch, cóll castàgn).
Per quanto sia la pratica del discorso ad inquadrare e risolvere posizioni ed incertezze, nello scritto si può così evitare di interpretare paròl paiuolo, càval tu cavalo, per paròll parole, cavàl cavallo, e in certi casi mod modo, ròd arroto, quèl ‘covello’, per modd mode, rodd ruote, quél quello. La dizione corrente è poi l’unico mezzo per cogliere l’identità formale fra védar vetro e védar vedere, fra fih fino e fih fine, fra pena pena e pena penna.
Esponendo i vari segni, si è visto che -i delle uscite latine -ium, -eum, viene dato come î nei casi come cilium›zìlî, consortium›cuhsòrzî, principium›prihzìpî, ebreum ›ebrèî, e come -j nelle uscite che corrispondono a -llium, lleum, -lium, -leum, (ital. -glio o -ggio, -lio, -leo): aj aglio, furmàj formaglio o formaggio, taî taglio, ecc.
La prima soluzione vale ovviamente anche per: Biaśî Biagio, laśî l-agio, ebrèî ebreo, raguśèî raguseo, bafî baff(i)o, birî bir(i)o, ecc. Dette uscite in -î e in -j si ripetono nel plurale e nel corso dell’esposizione, si avrà modo di intendere meglio i tratti anticipati, in relazione ai quali si chiarisce che le desinenze -î e -j consentono altresì la distinzione rispetto al plurale femminile in -i (beli, surèli, magri, gemèli, ecc.). Infine, il plurale femminile in iato -ìa, ha esito in -ìi (malihcunìa ›ma-lihcunìi, farmacìa ›farmacìi).
L’uso della j (i lunga) davanti o fra vocali, è piuttosto contenuto. Con ciò si valuta che vi sono in effetti situazioni che ne richiamano la presenza per riprodurre suoni decisamente intensi e che come tali sono documentati in varie sedi e presenti nelle flessioni e nella formazione del plurale:
– j pronome davanti a vocale iniziale: j’àt fat?, j’éril dó?, j’ài dit propî béh?, a j’ò vist bèî, j’àt tòlt?, t’j’òja da fàr?, ecc.
– entro parola, j può stare anche nel suono dei nessi del tipo –glia, es.: paja paglia, braja braglia, ma è richiesto soprattutto per i che si trova fra vocali diverse, come in majéra, cójar, bùjar, majóna, mujér, ecc.
I dialettologi d’oggi sono restii ad avvertire il suono di j, ma basta porre orecchio alle articolazioni correnti o ascoltare i dialettofoni di buona tradizione, per sentire che j può essere tralasciato solo nei nessi con aia, come quelli degli esempi visti.
Un ultimo chiarimento preliminare va posto per i casi come barbiér e cuóśar, che in modo analitico sono barbi-ér e cuóś-ar. Gli alterati del primo e molte voci del secondo (barbierino, cuoceva), darebbero barbié-rìh e cuóś-éva, però le vocali che perdono l’accento, in DF scendono di tono per cui é diventa i, ó diventa u. Nelle parole date, mentre la prima delle due vocali assume ruolo di semiconsonante, l’altra resta vocale e si giunge alla lettura (pronuncia) barbjirìh e cuuśéva, ove in realtà il secondo termine suona cwuśéva, perciò diverso rispetto a cuśéva (cioè: cucivo, cuciva, cucivano).
Trascrizione fonetica
Solitamente si usa il modo di scrivere dell’italiano anche per le forme dialettali. Si ricorre ai segni e ai simboli convenzionali che seguono, quando è necessario dare specifica trascrizione fonetica.
- a) segni
– accento grave per suono aperto (dov’è, comò, còlta; vèrta, pòrta, tòla, bèla).
– “ acuto per suono chiuso (élice, perché, cólta; préda, séd, tónd, cójar).
– “ circonflesso ^ su vocale atona conservativa di suono doppio (ciglio zilî, proprio pròpî, muovili móvî, appiglio apìlî).
– apostrofo ‘: in alcuni autori segna l’aferesi o caduta di vocali iniziali, ma è da ritenersi superfluo perché indica soltanto una variazione rispetto all’italiano (‘ndà, ‘st’òm, ‘śerb, ‘śé aceto) e porta ad ignorare che le voci dialettali sono assurte del tutto spoglie, sulle analoghe forme del latino parlato.
Grande importanza ha invece come segno grafico per collegare voci e monosillabi proclitici (cl’òm, quatr’a jò dit, métr’ih testa al capèl, córr’a cà, pr’avér, lèź’ih présia!, st’an, ch’l’éva) o enclitici (scrival, per certi autori scrìv’al, porta’gh).
– accento o virgola sopra c, g, s, z ad indicare suono alveopalatale (ć, ģ) o sonoro o dolce (ś, ź) (es. cuèrć, curàģ, ròśa, zréźa).
~ tilde, per nasalità ñ di n (sp. mañana) e di vocale (rom. mã mano); fra parole per indicare facile passaggio o variazione da una all’altra (féna~fégna?, vléna~vlégna andàr?, andéna~andégna?).
* asterisco, davanti a vocabolo o voce presunta, non documentata storicamente né in sede gram-maticale, intermedia e esplicativa (*im-bombere, V. bumbàr, ballare›*baliare).
/ rapporto o confronto fra fonemi, temi, ecc. (pè/pié, fàr/féh, gal/gaî).
– successione di voci affini, mutevoli, ecc. (solidus-saldus-*saudus).
› diventa, produce, giunge a (narang›narànz, sinum-seno›snà, octo›òt).
‹ proviene, prodotto da (saéta‹sagitta, intivàr‹intueri, nuśa‹ nucem).
simboli correnti
c suono come l’italiano C, dolce davanti e, i, velare davanti a, o, u
g “ “ “ G, “ “ e, i “ “ a, o, u
ch “ “ “ C velare (ch, k) davanti e, i (che, fichi)
gh “ “ “ G “ (gh, γ ) “ e, i (paghe, aghi)
gn “ “ “ GN o N palatale (pegno, ragno, gnorri, sogno)
simboli convenzionali o della dialettologia
b suono B bilabiale sonora (babèo) avente in p il suono di bilabiale sorda.
ć, “ C dolce o affricata palatale sorda (come nell’it. cenare, pulci) in fine di parola (oć, masć, Cmać) e nei nessi sći, sće (sćich, sćina, sćiava, sćévad, sćéηźa) dove s e ć conservano suoni indipendenti.
c, “ C dolce davanti e, i (cépa, macìna); C velare sorda (k), davanti a, o, u (casa, parco, cuneo; macàr, cóa, cuna)
k, ch “ C velare sorda, davanti e, i ed in fine di parola (kentum cento, kiwi, cherla, chinà, póch)
d, “ D occlusiva dentale sonora (divano, mondo; did, péndar)
f “ F labiodentale fricativa sorda (afàri, stuf, fàr).
ģ “ G dolce o affricata palatale sonora (come nell’it. gente, sigillo) in fine di parola (moģ, maģ, curàģ)
g, “ G dolce davanti e, i (gémb, bagigia), velare sonora (g), davanti a, o, u (gatto, ago, gusto; maga, gómbi, gucia )
g, gh “ G velare sonora, davanti e, i ed in fine di parola (ghepardo, aghi; ghir, arghèt, fógh, agh vàgh)
î “ I vocale atona conservativa di suono doppio (municipî; zilî ciglio)
j “ J lunga (cójar, òja?) o I semiconsonante (t’jé, j’è ndà, barbjirìη)
l “ L alveolare laterale sonora, consonante liquida (ala, colpo; plàr, bèla)
l o gl’ “ L laterale mediopalatale liquida, davanti a, e, i, o, u (come gl di figlio) (l’amìghi, l’alivròt, l’unģ le unghie)
m “ M bilabiale nasale sonora (métar, amór).
n “ N dentale (nano, ponte: cana, nvàra, ninàr)
h “ N nasale velare (manca, lungo, anche: mahca, luhgh, ahch, putìη, caη)
ñ o gn “ N nasale palatale (vigna, bagno: sp. mañana; magnàr, pagn)
q Q esplosiva velare sorda seguita da u semicons. /w/ o /v/ (quel, aqua)
r “ R alveolare vibrante sonora, conson. liquida (raro, barca, rana, crud)
ś “ S sonora o sibilante fricativa alveolare sonora (o dolce) (osa, usi; rośa)
s “ S sorda o “ “ “ sorda (o aspra) (sale, asso; sas, sunàr)
š “ S fricativa prepalatale sorda (pesce, sci), in DF non c’è questo suono, si pronuncia come s (pés, si)
t “ T occlusiva dentale sorda (tanto, trionfo; tenór, spuntàr)
ź “ Z sonora (dz) o sibilante affricata sonora (o dolce) (zero, mezzo; źdóra)
z “ Z sorda (ts) o “ “ sorda (o aspra) (Lazio, pezzo; mazàr)
( è e aperta come in ‘erba’; é e chiusa come in ‘pera’
ò o aperta come in ‘opera’; ó o chiusa come in ‘ombra’)