“Ai professori che ogni giorno si apprestano a dare giudizi sule capacità intellettuali dei loro allievi un invito a riflettere prima su quanta educazione emotiva hanno distribuito, perché, a se stessi almeno, non possono nascondere che l’intelligenza e l’apprendimento non funzionano se non li alimenta il cuore” (Umberto Galimberti, L’ospite inquietante, Il nichilismo e i giovani, ed. Feltrinelli pag. 48)
Siamo chiamati ancora una volta e se possibile con estrema urgenza ad intervenire a seguito del gesto disperato di una adolescente, vittima di se stessa, di noi educatori che non siamo in grado di cogliere l’essenza del nostro mestiere e di ascoltare il disagio esistenziale che ci abita quotidianamente intorno.
Siamo chiamati ad assumerci la più grande e non contemplata da nessun ministero delle responsabilità.
Si crea un linguaggio che diventa protezione per gli adulti, atti di bullismo, che tende a scaricare un problema esistente da sempre, che si argina in quel delicato passaggio dentro la più difficile delle stagioni, l’adolescenza, che ci vede protagonisti, in prima persona tenuti ad accompagnare, seguire, sapere guardare dentro gli occhi e ascoltare i nostri ragazzi.
Perché?
Mi chiedo, dopo tanti anni di esperienza sul campo, vissuta come chi mi conosce sa bene, in prima persona, sempre accanto a loro, dentro il loro vissuto, a passare tempo a raccogliere e ricostruire in senso le loro sofferenze e paure, come è possibile che una ragazza di quattordici anni tenti il suicidio in una scuola? Una scuola a cui i genitori, le famiglie affidano il loro figlio/a, nella certezza che noi educatori sappiamo entrare in sintonia con loro e aiutarli a svolgere il difficile compito di genitori che certo non si impara in nessun corso…E non voglio aprire polemiche.
Solo riflessioni, anche e purtroppo amare, su come in realtà il nostro mestiere non ci consenta più di ascoltare ed intervenire in quello che è il principale ruolo. E-ducare, portare fuori da, non in-segnare, che per lo più è quello dentro cui ci ostiniamo a ridurre il nostro mestiere.
La generazione attuale è quella che maggiormente soffre di vuoto emotivo, incapacità di relazionarsi all’altro, silenzi che fanno grande rumore dentro quegli abissi che non si conoscono e che si vorrebbe poter decifrare. I nostri ragazzi sono alla disperata ricerca di ascolto e comprensione.
Noi ci sentiamo sempre più inadeguati davanti a queste quotidiane richieste, stretti e spaventati dalle responsabilità, dalla burocrazia dei programmi e dei registri elettronici, dalla scarsa motivazione generata da uno Stato che sta lasciando crollare gli edifici scolastici e chi ci vive dentro.
Bene. Sono solo alcune considerazioni, gettate su un foglio, al fine di condividere un disagio che sento anche mio. Avrei un sogno, un sogno che mi piacerebbe condividere con colleghi e responsabili nell’ambito del difficile compito della educazione. Un progetto che vuole intervenire per la svolta educativa di cui il nostro paese necessita. Un progetto che parte dall’ascolto e mette la burocrazia in secondo piano. Forse sogno, come spesso mi accade.
Un progetto che parte da queste parole e si declina: “Siccome l’educazione delle emozioni ci porta a quell’empatia che è la capacità di leggere le emozioni degli altri, e siccome senza percezione delle esigenze e della disperazione altrui non può esserci preoccupazione per gli altri, la radice dell’altruismo sta nell’empatia, che si raggiunge con quell’educazione emotiva che consente a ciascuno di conseguire quegli atteggiamenti morali dei quali i nostri tempi hanno grande bisogno: l’autocontrollo e la compassione” (D: Goleman, Intelligenza emotiva, cit., pp14-15).