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12 Febbraio 2014

Sul tavolo c’é una lettera

di Francesca Boari | 3 min

Mi chiamo Andrea e oggi ho compiuto 47 anni. Sono un bravo lavoratore che la sera si distende sul divano giallo della sala da pranzo con suo figlio a guardare la fiction della “Grande madre”. Vado alla messa ogni domenica. Mi confesso. Non so mai quale sia il confine tra il bene e il male. So di certo che sul tavolo marron della mia cucina comprata a rate c’é una lettera che mi chiede sessantamila cazzo di euro. Mia moglie lava i piatti e sfinita si appoggia  alla parete ingiallita mentre a Ballarò discutono se Renzi o Letta. La guardo negli occhi e non la riconosco più. Ha lo sguardo sfondato di fatica e la voglia di piangere strozzata nella gola. Mio figlio manda messaggi a chissà chi e io lo guardo e penso a proteggerlo da me. Mi faccio paura. Non ho concluso niente, niente di niente, anche se tutti mi dicono che sono bravo nel mio mestiere. Ho le scarpe sporche di fango perché questa mattina ho camminato per chilometri dopo la lettera della morte. Non so più cosa fare. sono un fallito. Sono niente. Sono sessantamila euro di debiti allo Stato. Sono un evasore. Non sono un padre e nemmeno un marito anche se le rate della cucina le ho pagate tutte. Cosa faccio? Mi ammazzo’ Mi tolgo dai tacchi questa vita di merda che risponde sempre no mentre ti educa a dire sempre sì?

Il lavoro diminuisce, la gente non paga e io sono stanco stanco stanco. Guardo le lenzuola ingiallite ma profumate e le gambe non rasate di mia moglie Lucia. La amo più di me stesso, amo mio figlio. Mi guardo nello specchio del bagno solo come un cane, e mi faccio schifo. Mi viene da vomitare. Ho sacrificato tutte le mie forze fino ad oggi per loro e non trovo nemmeno una traccia di gioia nei loro visi innocenti.

Mesi fa ho sottoscritto una assicurazione per la vita. Contempla anche il suicidio. Non potevo crederci… di questi tempi contemplare il suicidio… Eppure io mi sono detto ce la farò ma metti che mi venga un malore, come li lascio i miei amori? Ho sacrificato gli ultimi centesimi del salvadanaio e ho continuato nel respiro a sperare che nel frattempo ci saremo rifatti dei debiti.

Adesso lo specchio mi sta gridando di togliermi di mezzo, perché non valgo niente, sono vergogna e fallimento. Non penserai che dopo quarantasette anni spesi nel sudore puoi trasformarti in sorrisi e serenità? Non chiedevo niente di più che potere stringere i miei nipoti e mettere il vestito da sposo a mio figlio. Con dignità nemmeno questo ho più la forza di sperare.

Un colpo di fucile e una luce bianca mi appare davanti.

E’ lo scoppio?
E’ la vita vera?
E’ il nulla che si annuncia?
E’ il ruggito di un leone?

Adesso sono bambino, gioco a pallone e devo ricominciare di nuovo. La cornice sembra più bella anche se non è nuova. Poco importa

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