La comunicazione scritta dell’incarico è sul tavolo. La guardo e pensare che avrò un lavoro dalla settimana prossima mi gonfia di gioia. Cosa faccio? Bisogna festeggiare. Sono solo come sempre con la mia diagnosi di schizofrenia paranoide nella tasca della vita. Magari con questo lavoro qualche amico lo trovo.
Voglio festeggiare. Tutti devono sapere che anche io ho trovato lavoro. Apro le finestre e lancio un grido di felicità al cielo e poi lo illumino io questo cielo grigio che non partecipa mai. Un petardo e via che si accendono le luci della ribalta anche per me. Un bicchiere di aranciata e la mia radiolina a tutto volume. E poi mi tolgo i vestiti perché domani saranno altri e io indosserò una camicia azzurra con i bottoni bianchi e un paio di pantaloni scuri dentro un ufficio.
Sono nudo e sto bene. Ballo e sto bene. Guardo il cielo dalla finestra e sento Maria che urla di smettere. Non mi interessa, oggi sono come te, e faccio festa.
Non smetto, ballo, rido e sono nudo con la mia malattia nella testa. Bussano alla porta. Ecco il terrore degli altri che mi assale, quella lettera non era per me, si sono sbagliati. “Lei vive una vita parallela, non distingue tra realtà e finzione”.
Dio come bruciano queste sentenze che abitano gli anni trascorsi tra un ricovero forzato e uno volontario. Ci sono, sono io, Riccardo. Non è nessuno, nessuno mi cerca, nessuno mi porterà via la mia lettera di assunzione. Bussano alla porta. Sono nudo e tremo. La radio continua a cantare. La Berté grida senza vergogna “Non sono una signora” e io non sono pazzo. Prendo tra le mani e il tremore e la fragilità quella lettera. Mi avvicino alla porta e mi accerto che sia ben chiusa.
Corro nella mia camera da letto, mi nascondo sotto le coperte, mi copro il viso. La lettera è tra le mie mani.
La porta trema. Qualcuno cammina per la casa. “Non sono una signora” e io sono Riccardo.
Eccoli, davanti a me, lo sapevo che non ero pazzo. Mi portano via di nuovo. Mi mettono le manette e mi prendono la lettera. Mi chiedono di calmarmi e io adesso sono gonfio di rabbia e ho paura. Le loro facce sono dure e brutte. Mi picchiano perché dico no, che non li voglio in casa mia, stavo festeggiando.
Ridono e urlano insieme e io ho una grande confusione nella testa. Ho ancora paura. Mi colpiscono a caso, Il sangue schizza sulle pareti, sono tanti e sono tutti sopra di me. Lasciatemi andare. Sono un uomo perbene e incomincerò a lavorare come voi. Non fatemi male. Sono nudo e sono solo.
Una luce si accende dietro i loro bastoni cattivi e io vedo il mio ufficio, una poltrona e una scrivania. Qualcuno mi aspetta. Qualcuno aspetta Riccardo. Una voce mi chiama e io mi avvicino lentamente e incomincio ad aspettare. Sono anni che aspetto che qualcuno mi torni a vestire e mi restituisca la mia lettera e la mia vita.