“Trasferiscomi poi in su la strada nell’osteria, parlo con quelli che passano, dimando delle nuove e dei paesi loro. Viene l’ora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio di quelli cibi, mangiato che ho ritorno all’osteria. C’è l’oste, un beccaro, un mugnaio, due fornaciai, con questi mi ingaglioffo tutto il dì giocando a tric, tric e trac e poi nascono mille contese, dispetti e parole ingiuriose, si combatte per un quattrino. Così rinvolto tra questi pidocchi traggo il cervello in muffa. Venuta la sera, ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio e in sull’uscio mi spoglio quella veste piena di fango e mi metto panni reali e curiali ed entro nelle antiche corti dove ricevuto dagli antichi uomini amorevolmente mi pasco di quel cibo che solum è mio dove io non mi vergogno a parlare con loro e domandargli ragione delle loro azioni e quelli per loro umanità mi rispondono e non sento per quattro ore alcuna noia, dimentico ogni affanno e non temo la povertà e non mi sbigottisce la morte” (Lettera di Niccolò Machiavelli, 1513)
Tra le mani questa splendida lettera scritta nei tempi oramai lontani da Niccolò Machiavelli e nella testa una riflessione che voglio condividere con voi.
Si passa quotidianamente dalla bufera del chiassoso quotidiano alla desiderata pace della sera. E’ vero che fin tanto che gli impegni distraggono, poco spazio resta ai nostri pensieri, alle nostre ansie, paure e preoccupazioni. Altrettanto vero che, al sopraggiungere della sera e del silenzio domestico, non sempre è facile volgere al meglio quel tempo prezioso solo nostro. E’ il tempo vuoto che oggi più che mai spaventa. Le nostre case sono invase di elettrodomestici sempre accesi e manca il rispetto per un silenzio che dovrebbe essere farmaco insostituibile se abitato con saggezza. Nel silenzio l’incontro è con quanto si ama di più, con quello che non ha trovato spazio nel “tric e trac” della giornata, con la dimensione segreta e preziosa che conserviamo e custodiamo nei nostri studi, salotti o cucine che siano diventate oggi.
Lamentiamo la mancanza di tempo per noi, lacerati da scadenze, dialoghi vuoti, assenze e eternamente naufraghi nel vivere quotidiano. Eppure temiamo il silenzio e ancor di più la solitudine. Cerchiamo pratiche di meditazione che ci costringano nell’impegno e non capiamo che la maggior parte di queste, per altro rimedi sempre più richiesti a causa dell’ansia e del disagio esistenziale in continuo aumento, si basano su pratiche esteriori, dimentiche della dimensione soggettiva. Quella che manca e che fuggiamo è la vita interiore, una meditazione quindi che necessità di isolamento e comporta il faccia a faccia con se stessi senza mediazioni. “Solo chi conosce veramente se stesso non teme il proprio destino” (Aristotele).