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23 Ottobre 2013

Di silenzio mi sono cibata

di Francesca Boari | 3 min

Mi chiamo Elena e oggi ho quattordici anni. Non so niente di più di me, se non il mio nome svuotato di suono e di senso e l’età che si imprime alla vita di una bambina e la lascia orfana di sogni, progetti e desideri.

Mi chiamo Elena e non chiedo altro che mi venga reso ciò che mi è stato tolto, restituito il respiro inciampato nel singhiozzo di un pianto senza fine.

Ho la faccia di pietra e gli occhi secchi. Non parlo se non di niente. Nello specchio solo il tuo viso ruvido e ricoperto dalla colpa mai espiata che mi inghiotte e mi sputa nel mondo senza pietà e ascolto.

Mi fidavo delle tue mani, quelle stesse mani che facesti scivolare più volte in mezzo alle gambe di una bambina, derubandole la verginità e riempiendo il ventre a sua insaputa. Quella bambina non è più cresciuta e le mani le ha tenute in tasca perché allungarle avrebbe voluto dire mostrare le ferite, il sangue sciupato, la vita strozzata. Quella bambina è sempre qui a supplicare un suono di voce umana.

Mi chiamo Elena e il mio corpo si affaccia alla vita e sorride ai bambini che portiamo insieme, io e te, nella casa di Dio per proteggerli dal male e aiutarli a crescere nel bene. Tu mi hai insegnato queste parole mentre le tue mani scivolavano tra le mie gambe innocenti e ancora tremule e incerte nel cammino della vita che affidavo a te.

Mi chiamo Elena e supplico da trent’anni e più una sola parola. Mi hai lasciata sola a crescere una creatura innocente e da innocenti siamo arrivati fino ad oggi perché la speranza di vedere un solo cenno di pentimento avrebbe potuto riaccendere un cuore bruciato.

Di silenzio mi sono cibata e nella solitudine estrema e dolorosa ho cresciuto il nostro bambino e gli ho insegnato a dire sempre la verità.

Ho nutrito dell’amore rimasto lo spazio che tu non sei riuscito ad abitare. Ti ho messo a lato per continuare a respirare e aspettare, aspettare e aspettare.

Io ho sempre quattordici anni e la donna che vedi non è la bambina che ingannasti. Quella bambina è rimasta dove l’hai abbandonata con la forza e la brutalità della carne.

L’hai sbattuta in un inferno terreno e l’hai chiusa a chiave nella infelicità e nel buio.

Mi chiamo Elena e vorrei una sola parola.

Vorrei riprendere quella bambina e unirla alla mia vita di oggi, restituirle la spensieratezza che non ha potuto conoscere e la vita che non ha potuto avere. Vorrei che potesse conoscere l’innocenza di un bacio rubato e la bellezza di uno sguardo pulito. Vorrei vederla ballare tra braccia d’amore e arrossire eccitata di bellezza e vita a venire.

Elena, solo Elena. Solo una parola. Solo una bambina. Mai cresciuta. E ancora in quella stanza di male e orrore.

Tento l’ultimo sforzo e la guardo da lontano, quella bambina che nessuno ha creduto e ascoltata. Tento lo slancio disperato e folle verso gli altri e la vita.

Il respiro a tratti manca ancora e resta strozzato. Innaffio ogni singolo istante di ascolto, spalancata sul mondo.

Quella parola deve ancora arrivare.

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