Quale dovere dobbiamo assumere come significato autentico del nostro “essere nel mondo”? La “cura” di noi, delle cose e degli altri. Allontanare lo spavento dell’oggi e riuscire a pro-gettare, iniziare ogni giorno con un sogno nuovo, un sorriso ingiustificato e grandissima voglia di cogliere la vera essenza delle cose passando attraverso le cose semplici, quelle a cui l’indaffararsi quotidiano non è riuscito nel tempo a concederci.
Esistono diversi tipi di uomo: l’uomo originale, l’uomo eroico e il buffone. Concentriamoci per oggi sulle caratteristiche dell’uomo originale. L’uomo originale deve porsi degli interrogativi, ha il dovere di farlo e deve entrare in relazione con quello che è, senza vergogna e presunzione. Questo esercizio quotidiano matura nell’individuo la forza straordinaria dell’ironia, arte della dissimulazione, attraverso la quale si entra anche in relazione con l’altro e si rientra in se stessi più consapevoli e equilibrati. Sapere individuare le sostanze, le qualità al di fuori delle infinite apparenze che ci circondano, ci porta ad acquisire la capacità straordinaria di scardinare le convinzioni degli uomini comuni e aiutarli ad uscire dalla prigionia dei simulacri.
Indagare se stessi, conoscere se stessi fino a raggiungere e sentire in tutta la sua terribile verità la voce del “daimon” che è dentro ciascuno di noi, ci porta a guardarci allo specchio senza filtri e misura, ci porta a riconoscere la nostra essenza e ciò che dobbiamo diventare se vogliamo tentare la strada dell’autenticità.
Cosa vedremo in quello specchio? Per questo è necessario un esercizio nella conoscenza di sé che proceda per gradi e non ci getti nel mondo come “esserci” destinati a soccombere dinanzi al difficile mestiere di vivere.
“Tutto ciò che so del mondo, anche tramite la scienza, io lo so a partire da una percezione mia o da una esperienza del mondo senza la quale gli stessi simboli della scienza non significherebbero nulla (…). Non dobbiamo dunque chiederci se percepiamo veramente il mondo, dobbiamo invece dire: il mondo è ciò che noi percepiamo” (M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945, pp 16-17-25).