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5 Aprile 2013

Federico in via Ippodromo

di Francesca Boari | 7 min

Pubblico il brano, il capitolo 8, del mio libro “Aldro”. Ad alcuni servirà per rinfrescare le idee…

 

8.

Giro intorno a questo campetto e mi sento male, male da morire, mi gira la testa, mi disorienta questo mio vagare, questo orribile senso di vuoto che lasciano serate dopo serate senza senso. Sono incazzato, sono uno stronzo perché continuo a farmi impasticcare da quelle merde e non riesco a non cedere quando mi trovo in situazioni in cui non mi sento a mio agio.

E lo so che potrei semplicemente girare le spalle, che la vera forza sta in chi riesce a dire no e invece ogni volta è uguale, la serata è deludente, e io ci ricado di nuovo in quella stronza merda del cazzo.

Non voglio vivere così come un sasso, sentire che qualcuno mi cammina sopra e non riuscire a reagire, non voglio imparare il silenzio o assumerlo, ancora peggio, come strategia di sopravvivenza. Dio come è bello dire nooooo, quanto bene fa tenere le distanze da quello che sa di marcio, che fa cattivo odore. Io la testa la voglio alzare e non voglio più avere paura.

Ho tante cose per la testa, tanta vita, gioia, speranza, la musica, la patente, lo studio, sì anche ascoltare le parole della rompicoglioni di italiano… Sì, sì la cura, l’impegno…e poi c’è lo sport, il mio sport, il karate.

Bastaaaa … Se non fermo i pensieri mi scoppia la testa. Alex dove sei? Michy ?

E rispondete, cazzo, possibile che dormiate tutti. Ho voglia di vedervi, sentirvi, dire due cazzate, ma perché non mi risponde nessuno? Cos’è questo strano silenzio? La città a quest’ora sembra paralizzata, non si muove niente, qualche macchina, un accenno di luce, appena appena …

Ma io ho la testa altrove. Mi accorgo che sto parlando a voce alta. E tanto chi mi sente, chi disturbo?  Sono stanco, le gambe mi tremano e pure le braccia. Avrei voglia di distendermi qui sull’erba e dormire ma poi mamma chi la sente?

Oh no, di nuovo, la testa se ne va per i fatti suoi…ma che cazzo mi hanno dato…quanta rabbia questo dovere parlare da soli, con gli alberi, con l’alba e magari almeno un caffè adesso non ci starebbe nemmeno male.

Cazzo, nooo, la macchina della polizia, e che cosa vogliono questi?

Sono in due, uno scende subito dopo avere fermato la macchina. E guarda che facce austere, tristi, grigie, sicuro che hanno avuto una serata peggio della mia, e poi arrivo io, dulcis in fundo, la ciliegina sulla torta, lo sconvolto di turno.

Vengono proprio verso me …

Ho anche dimenticato i documenti, adesso rompono i coglioni …

Ma io sono forte, io reggo questi confronti, non li temo, non sto facendo niente, sono solo, a piedi, non faccio paura a nessuno e non sono di certo un pericolo per gli altri …

Dio mio che faccia incazzata ha questo. No, guardi, il documento l’ho lasciato a casa … Mi capita spesso… Comunque sono Federico … Ah, non gliene frega un cazzo di sentire la mia voce … Chissà se sa quello che sta dicendo. E diventa tutto rosso, si sta incazzando ancora di più il poliziotto. Ho detto che i documenti non li ho … Stavo urlando? Sì, possibile, ho avuto una brutta serata e voi?

No, non sto facendo lo spiritoso, e andiamo, un po’ di ironia. Cosa avrei fatto di tanto grave?

Sì, parlavo a voce alta, da solo, ma sono in un parco, alle cinque della mattina e posso anche avere le mie ragioni per essere alterato. Sono fatto? No, assolutamente, le solite cose del sabato, né più né meno … Ehi, bastardo, tira giù le mani, che cazzo tocchi, stammi lontano. Merda, merda, questi sono stronzi, mi vogliono picchiare, quell’altro ha anche il manganello, ma siamo fuori, state lontani, non ho fatto niente, niente a nessuno, niente a voi, niente di niente … Merda mi fate male, andatevene a fare in culo, in questura non ci vengo. Mi state facendo male, male. Bastaaaaaa!!!!

Chiudo gli occhi e all’improvviso me la vedo davanti la morte, il viso bianco, trasparente, senza veli, con un lungo manto nero.

Che dice signora?

Vuole giocare a scacchi?

Eh no, non ci cado, la conosco già questa storia, io con lei non gioco, non è ad armi pari. Lei è scorretta, lo sa? La morte non è un gioco, no, io amo la vita e da lei voglio stare distante. Non si avvicini tanto, mi sta spaventando e la smetta di alitarmi sopra.

Si, è vero che è da sempre che mi fiata sopra ma adesso ho proprio bisogno che lei si giri, guardi da un’altra parte.

Mi fissa, mi sfida?

Non mi interessa. E adesso cos’è questo cattivo odore … mio Dio e lascia che riapra gli occhi, e dammela un’altra possibilità, non rubarmi l’ultimo respiro, l’ultima nota, è troppo presto, voglio stare ancora, stare e stare.

Mi senti? Mamma, papà, Stefano dove siete? Aiutatemi, non voglio andare, non ho detto ancora tante parole che avrei detto dopo, ma aspetta, dai, lasciami i piedi, le gambe per camminare, correre sulla terra. Lasciami il respiro, non pestarmi il cuore con quel braccio sinistro, alza quelle ginocchia, così non respiro, non soffocarmi una vita ancora troppo breve da essere risucchiata e per niente, non ho fatto niente, niente per dovere morire.

Non mi ascolti? Guardi altrove?

Non sei giusta, almeno gli occhi, questi dovresti aprirli e vedere che stai schiacciando l’innocenza, la gioia, la speranza.

Aiutooooo!!! Mi stanno uccidendo, fate qualcosa, qualcuno faccia qualcosa, non ho fatto niente, niente.

Cala il silenzio, qualche istante di silenzio, come quando l’attore al termine della recita attende l’applauso, solo qualche breve ed intenso istante. Un silenzio presto rotto dall’imbarazzo di un corpo abbandonato sul grigio dell’asfalto, la maglietta sollevata sul torace colpito, il viso tumefatto, livido, con gli occhi che faticano a chiudere lo spavento, la paura, l’orrore di una assurda morte.

Le mani graffiate, lacerate, trafitte, segnate e dietro la testa una pozza di sangue fa da cuscino scomodo, inadatto, scomposto.

E poco distante schizzi di sangue sull’asfalto muto a prendere voce per gridare a chi ha ucciso la sua colpa.

Padre nostro che sei nei cieli,

guardalo questo frammento di asfalto macchiato dalla più grande delle colpe e aiutaci a ritrovare il senso della parola che si intoni alla verità, a fuggire le menzogne e semmai dopo averle svelate anche al perdono introduci i nostri cuori.

Padre nostro che sei  nel cielo,

torna a riempire la terra di coraggio perché la tua sofferenza possa trovare una giusta risposta nel nostro agire quotidiano mosso dalla sete del verbo piuttosto che dalla aridità della vendetta.

Padre nostro che sei nei cieli,

non abbandonarci sulla terra senza acqua, senza germogli, restituisci ai tuoi debitori le forze necessarie a camminare a testa alta, senza vergogna, verso la luce.

Padre mio, perché mi hai abbandonato?

Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno.

Abbi pietà di noi, del nostro silenzio, della nostra inerzia, della nostra incapacità di alzarci uniti ad ammettere le nostre colpe, ad avere la forza della sofferenza, dell’espiazione, della salvezza.

Abbi pietà della nostra incapacità di abbraccio, della nostra ultima solitudine, noi miseri e vigliacchi che non riusciamo nemmeno ad avvicinarci alla luce.

Abbi pietà.

E la preghiera è rotta dalla stonatura di una risata fuori luogo, di fianco ad una volante del 113. E’ un’ auto ammaccata, ci sono urti sul cofano poco sotto il parabrezza, sulla fiancata posteriore destra e dietro sul baule.

Chi deride la morte? Chi osa tanto chiasso in un momento di abbandono insensato della vita?

Chi sfida ancora?

Non lo sa che non si ride di lei, non lo sa cosa saranno i giorni che restano con questa colpa non espiata, mille volte falsamente giustificata. Ti potranno credere quelli senza volto ma il cielo sa come sono andate le cose.

Chi piange già lacero, svestito, nudo dinanzi a quel corpo senza vita, senza domani? Chi?

“Sono un genitore anch’io…” sembra singhiozzare qualcuno.

“Si è ammazzato da solo … qui ci vuole la benzina …”.

Maledetti storditi senza custodia, lasciate così le vostre parole fuggire e abbracciare il male?

Mamma sono qui, mi senti?

Abbracciami, mamma, ho freddo, qualcuno ride, qualcuno piange, ho tanto male, mi hanno fatto male.

Mamma, ti prego, fai che tutti sappiano quanto male mi hanno fatto.

Ti voglio bene.

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