Comacchio
24 Marzo 2013
Gli interventi comunitari non bastano. Conflitti di competenze e abbandono mettono a rischio la più importante area protetta del nostro Paese

Parco del Delta: un patrimonio allo sbando

di Michele Fabbri | 3 min

È bastato risistemare  un  dosso delle Valli di Comacchio con  la terra di un canale per convincere 1256 coppie di uccelli di specie rare e protette a nidificare su quel lembo di terra. E un poco più a nord del Parco del delta di parte veneta, il ripristino  idraulico del bosco di Nordio ha consentito centinaia di deposizioni di uova della rana rossa (rana di Lataste), anfibio vulnerabile che ha bisogno di un ambiente ben conservato per sfuggire al concreto pericolo di estinzione.

Sono solo due esempi del successo del programma europeo LIFE attivato nel  Parco del Delta del Po emiliano romagnolo e in quello veneto. “In questi ambienti preziosi e insostituibili basta mescolare un po’ di acqua e di terra per ripopolarli di specie” ha affermato Lucilla Previati, direttore del Parco emiliano, in un recente incontro organizzato dalla Società naturalisti ferraresi e dal Museo di storia naturale cittadino per discutere delle “prospettive reali di tutela ambientale per il Delta del Po”.

Il problema è che, a parte gli interventi comunitari, il Parco del Delta vive una situazione drammatica, di confusione di ruoli, conflitto di competenze e abbandono da parte dalle autorità locali che sta mettendo a rischio la più importante area protetta del nostro Paese e un patrimonio di rilevanza europea.

Da più di un anno (gennaio 2012)  il Consorzio che gestiva il Parco è in liquidazione per effetto della Legge regionale (n.24/2011) che prevede la soppressione e riorganizzazione dei Consorzi di gestione delle aree protette regionali. L’approvazione dello statuto del Parco, passaggio fondamentale e imprescindibile per la sua gestione, non è stata effettata. Legambiente aveva già denunciato “diversi segnali di smobilitazione da parte delle istituzioni regionali e locali, la situazione di limbo e progressivo indebolimento in cui è entrato il Parco del Delta del Po”e un taglio di 520mila euro, la maggior parte dei quali indispensabili per il normale funzionamento idraulico della valli.

Secondo Marco Bondesan, geologo, che ha introdotto i lavori dell’incontro, “la situazione è paradossale e contraddittoria: “la Regione ristruttura le aree protette e cancella la vecchia amministrazione, ma poi non fa  gli statuti che servono a governarle”.

“Il problema è proprio la governance, sottolinea Previati. In questi anni abbiamo imparato molto bene cosa fare dal punto di vista della conservazione degli habitat e del paesaggio. Ma non possiamo operare. È un incubo. Ci muoviamo senza norme precise in una stratificazione di leggi e fra conflitti di competenze inestricabile, come i piani regolatori, quelli paesistici, le prerogative della Sopraintendenza e quella delle zone di tutela Unesco.” Per un’ amministrazione, come quella di Comacchio, che “dialoga con il Parco”, altre latitano: la Regione Emilia Romagna in primis, ma anche la Provincia di Ferrara che nemmeno risponde al Parco del Delta veneto quando, come ha affermato il suo direttore Marco Gottardi, chiede confronto e collaborazione per il Po di Goro, o la Provincia di Ravenna  che  ha deciso, in modo unilaterale, di non versare più la sua quota associativa nel Parco emiliano.

Il danno è gravissimo non solo per l’inestimabile valore naturale, paesistico ed ecologico ormai allo sbando, ma anche per quello economico non valorizzato o compromesso. Il bacino geografico che “insiste” sul Delta è enorme,  e tale è la sua rilevanza economica, come dimostrano i dati presentati all’incontro dal progetto comunitario transnazionale Natreg.

“Manca la consapevolezza negli amministratori locali, che devono essere coinvolti maggiormente”, ha affermato Luciano Marangoni della Lipu (Lega italiana protezione uccelli). Proprio chi dovrebbe amministrare questi territori, spesso non li conosce nemmeno. Forse il deficit peggiore è proprio quello determinato dall’ignoranza e mancanza di interesse e consapevolezza. “Manca una ‘visione’ sottolinea Previati. È ora di scegliere fra chi fa le seconde case sulla spiaggia e chi ripristina i dossi. Intanto deve essere chiaro che ci sono dei valori non negoziabili: basta seconde case e qualcosa va abbattuto. E solamente tenendo conto dei vincoli ambientali e dei ‘segni’ paesaggistici si possono ‘vestire i vincoli’ edificando in maniera sostenibile”.

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