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25 Ottobre 2012

Generazione choosy

di Francesca Boari | 2 min

Choosy? Una parola fuori posto? Una parola per dire altro? Una parola consapevole che intende tradurre semplificando la natura di una generazione?
Di fatto una parola che fa riflettere sulla inaccettabile leggerezza con cui si etichetta una generazione oramai da qualche anno. Certo a reagire dovrebbe essere la parte lesa. Altrettanto vero che non si capisce  a chi questo “schizzinosi” si riferisca veramente. Infatti, nel nostro paese, la disoccupazione investe anche una fascia di età che certo non rientra nella categoria giovani.
Il problema diventa ancora più complesso se si pensa che invitare i giovani a non essere ambiziosi (questa è una mia arbitraria traduzione del messaggio del ministro Fornero) va di pari passo con quella cultura di appiattimento delle inclinazioni individuali, attuato dal sistema scolastico nazionale e da chi lo amministra.
Mi sembra di avvertire una incolmabile distanza tra il mondo adulto e quello giovanile. Un distacco oramai talmente accertato e accettato da entrambe le parti da fare pensare che possa andare bene così.
Chi parla dei giovani sembra davvero non saperne niente. E dall’altra parte gli offesi e umiliati, a parte qualche lieve lamento, subiscono in un silenzio che sa odore di urla implose e accettano di essere “bamboccioni” e “choosy”.
La verità che percepisce chi ci vive per mestiere accanto è che questo silenzio non possa durare  a lungo. Intorno a me io ho sempre visto ragazzi orfani di modelli, di maestri, di passioni e perciò altrettanto assettati di tutto quello che odori di vita. Spesso si lasciano vivere perché gli manca quella fiducia, nelle generazioni passate a volte anche eccessiva, quella capacità di “ruggire” per uscire dal niente che li sta ammalando.
Credo che i più escano dalla loro esperienza formativa senza direzione di sorta, senza la fortuna di un incrocio proficuo, senza sapere chi sono, che cosa vogliono e dove potrebbero arrivare. Vivono la maggior parte del loro tempo in edifici abbandonati e dimenticati dalle politiche dell’ultimo ventennio. Senza ascolto, comprensione, in disparte, nei loro mondi paralleli e artificiali, naufraghi in un profondo abbandono di senso.
C’é un grande bisogno di umanità e di maestri che tornino ad essere educatori nel senso etimologico del termine.
“Guai a chi alberga deserti”, sia di monito a tutti.

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