“In ambito culturale [ndr] in Italia l’intero investimento pubblico – Stato, Regioni, Enti locali – è passato da 7,5 miliardi di euro nel 2005 a 4,8 miliardi per il 2011 (-36,%)”. Roberto Grossi (presidente di Federculture), Presentazione rapporto annuale Federculture 2010.
Certo c’era da aspettarselo, è arrivata la crisi, da allora il debito pubblico cresce, il PIL cala e la disoccupazione aumenta… e un po’ tutti ci si trova con le forbici in mano: si tagliano i viveri, si tagliano i viaggi in auto, in nave e in aereo, ci si taglia meno i capelli, i cinema, i musei e i teatri strappano meno biglietti, Pompei si sgretola. C’è un’eredità da salvaguardare ma lo Stato ha le tasche vuote.
Nemmeno le mie tasche se la passano bene. Ho 29 anni, vivo a Ferrara, ho una laurea in storia dell’arte contemporanea. Sono fortunata, ho un lavoro e faccio parte di un’associazione culturale locale e, nonostante la citazione con cui inizia questo mio primo post, non mi sono mai sentita così viva come in questo momento.
C’è un cambiamento nell’aria e mi piace riempirmene i polmoni, quando pedalo veloce sulle strade che mi portano al centro di una Ferrara malmessa. Ci passeggio con il naso in su, cercando i segni delle scosse di maggio, mentre penso a quanta paura ho avuto e a quanto sono orgogliosa, nonostante tutto, di appartenere a questa città. E a quanti credono che sia morta risponderei che si sbagliano. I nostri vecchi ci hanno lasciato un terreno fertile e vedo molte giovani teste e giovani braccia, intente nel dissodarlo e seminarlo con la voglia di far crescere quelli che saranno, prima o poi, frutti per la collettività.
È da qui che voglio partire, usare questo spazio per raccontare come il territorio e la sua gente stanno sopravvivendo alla crisi culturale e individuare progetti e proposte di realtà altre, perché da un confronto possano nascere ispirazioni nuove. Mi piace l’idea di far convogliare le giovani braccia e le giovani teste in uno sforzo comune che produca modelli di sviluppo che, per loro stessa iniziativa, possano essere riconosciuti anche dalle istituzioni e applicati in quanto economicamente sostenibili per noi e per chi ci governa.
Ma chi siamo noi, pazienti servi della cultura suburbana?
A chi parla di ‘fighetti che se la tirano’ direi che non siamo altro che eredi di un popolo chiuso, diffidente, ma siamo anche contadini che amano sporcarsi le mani senza cercare la compiacenza di un mecenate. Gli artisti di corte non sono sopravvissuti all’arrivo del Papa in pianura, nel lontano 1598 e ai creativi di oggi non conviene il lavoro su committenza. Perciò, tanto vale avere il coraggio di esprimere i propri pensieri e servirsene per realizzare qualcosa che possa coinvolgere un pubblico ampio e diventare strumento di diffusione e trasmissione di un sapere che ha il sapore degli sforzi e dell’entusiasmo di chi ha scelto di dedicare il proprio tempo (una volta uscito dall’aula universitaria, dall’ufficio, dalla fabbrica o da dietro al bancone del bar) ad un’attività culturale.
E che cosa facciamo del nostro tempo noi – studenti, quando va bene, precari quando va così così, cassaintegrati quando si arranca e adulti a carico, quando va davvero male – con la nostra pretesa di cambiare le cose? A chi crede che tutti i ragazzi di oggi sprechino il proprio tempo tra aperitivi, discoteche e playstation, direi che si, lo sprizz è stata una grande invenzione, ma c’è la crisi e, spesso, si deve trovare qualcosa di divertente e soddisfacente che non comporti un dispendio economico e salvaguardi il fegato. Così c’è chi sceglie di usare la testa, informarsi, conoscere il mondo e la terra ballerina su cui camminiamo, sfornando idee, condividendole, dando loro forma, investendo tempo e tanta tenacia per avere qualcosa di concreto che possa piacere e far divertire altre persone.
A chi afferma che “a chiacchiere sono bravi tutti, ma poi i fatti, dove sono?”
Beh ho qui pronta una lista di astenuti perditempo che credo valga la pena snocciolare per dimostrare che a Ferrara la cultura dei giovani ha tante facce… ma lo farò nel prossimo post, perché mi han detto che è così che inizia la fidelizzazione del lettore.