Controverse opinioni sulla presunta comparsa del diavolo nella chiesetta di Ripapersico, durante la celebrazione della messa di qualche settimana fa (leggi). E’ don Nicolò Giosué che si pronuncia con questa attestazione di presenza maligna ai fedeli presenti ed individuandone anche la collocazione nei primi banchi della chiesa a sinistra (del resto non poteva che stare da quella parte) dell’altare.
Credo che i luoghi di manifestazione del male (altrimenti demonio) siano tanti. Ognuno di noi di certo lo incontra quotidianamente sebbene con facce alterne e mai sotto la stessa veste.
Per esorcizzare le nostre angosce chiamiamo “demoniaco” tutto ciò che ci spaventa e che può divenire elemento di disturbo nella nostra vita quotidiana. Quando Socrate, uno dei primi grandi maestri dell’umanità, allude al “daimon” che abita in ognuno di noi, lo fa per declinare l’enigma contenuto nella celebre massima “conosci te stesso” e per aiutare gli uomini a “diventare quello che sono” (come tradurrà più tardi il filosofo Nietzsche). Portare all’esterno le nostre paure e distinguerle con un nome che accentui il processo di distinzione tra noi e l’oggetto del timore, è una operazione di senso solo se si pensa che nominare qualcosa serve principalmente a chiuderlo in una definizione con la possibilità di un successivo riconoscimento. L’ignoto spaventa. Il proibito terrorizza. Ciò che ci spaventa di più sta dentro noi, a volte così latente e subdolo, da potere nel tempo esplodere in mostri terrificanti, da cui quello che nominiamo follia. Attribuire una esistenza al “demonio” e addirittura una collocazione spazio temporale significa esternare qualcosa che pietrifica l’animo umano per poterlo poi affrontare come altro da sé. O più semplicemente spostare il problema del male fuori di me. Umano troppo umano….