
Mauro Pagani
Musicista polistrumentista, compositore e autore di colonne sonore. Quando si pensa a Mauro Pagani la mente corre agli anni trascorsi con la Pfm, alla lunga esperienza di collaborazione con Fabrizio de Andrè, ma la carriera dell’artista lombardo è costellata di avventure ed episodi forse ancora poco noti al grande pubblico. Lui in qualche modo li ha raccolti nel suo primo – e finora unico – libro ‘quasi autobiografico’, il romanzo “Foto di gruppo con chitarrista”, in cui narra le vicende di un giovane musicista di belle speranze. Dal libro al relativo tour il passo è stato breve. Ed ecco Mauro Pagani calcare i palcoscenici in trio, accompagnato da Eros Cristiani al pianoforte, tastiere e fisarmonica, da Joe Damiani alla batteria e percussioni, e dalla vocalist Badara Seck. Concerti, quelli del “Domani Tour”, in cui Pagani porta brani scelti fra le canzoni più importanti della sua carriera, che potremo ascoltare anche a Copparo, sabato 20, al Teatro De Micheli. E’ lo stesso musicista a descrivere i contenuti del concerto partendo proprio dal libro, nel corso di un’intervista che ci ha rilasciato telefonicamente dagli Stati Uniti.
Letteratura e musica ancora una volta si intrecciano. Ma perché un musicista sente il bisogno di scrivere un romanzo?
“Mi è venuta voglia di raccontare un periodo preciso della mia vita ed è stato un piacere, anche se faticoso, riesaminare gli anni della mia formazione. Una formazione di violinista classico, passato poi a suonare con le band nei locali, nelle sale prove, nei night club… Un lavoro che sarebbe stato simile a quello di tanti altri musicisti, se non avessi incontrato quattro ragazzi fantastici, la Premiata Forneria Marconi. Ecco, è quello il periodo che ho narrato”.
E i concerti, come quello che ascolteremo a Copparo, in che modo si legano al libro?
“Pensando al passato ho sentito il bisogno di riascoltare i brani progressive con cui sono cresciuto, quelli di gruppi come gli Yes e i Genesis per intenderci. Così li ho anche rivisitati in funzione di esibizioni live, per le quali ho ovviamente aggiunto anche altri momenti importanti della mia carriera, con brani di De André ad esempio. Posso dire però che della Pfm in concerto eseguo solo uno o due pezzi, a volte nemmeno quelli, perché quei brani mi sembra di poterli fare solo con loro”.
De Andrè ha rappresentato una fase importante, se non fondamentale…
“Assolutamente sì. Con Faber ho imparato a scrivere canzoni, perché quelle della Pfm non erano altro che brani strumentali con una parte vocale. Ho iniziato a comporre con l’album “Creuza de ma”, un progetto di De Andrè ambizioso e coraggioso per l’epoca. Basti pensare che in quel periodo la gente ascoltava gruppi come i Duran Duran, quindi proporre un intero disco cantato in genovese antico e musiche mediterranee era fuori da qualsiasi logica discografica e di mercato. Quando ho iniziato a comporre i brani lui mi ha lasciato fare ciò che volevo, poi ha aggiunto i testi alla fine. Con De Andrè è venuto a mancare un amico e una sorta di fratello. Aveva un caratteraccio, ma fra noi, nonostante a volte si litigasse, c’era un profondo rispetto reciproco della libertà individuale”.
A proposito di dischi, quando lavorerai al prossimo?
“Mah, di dischi ne faccio uno praticamente ogni dieci anni. Il primo dopo aver collaborato a “Le Nuvole” con De Andrè, poi nel 2003… Ho come l’impressione però di aver chiuso con la forma canzone. Ora negli Usa vado ad ascoltare concerti di experimental jazz, una specie di evoluzione del jazz che lavora sui concetti di improvvisazione collettiva. Poi la discografia…”.
Cosa intendi?
“Che non esiste più un mercato discografico se non di livello basso, pilotato ormai dai talent show. Vediamo ‘emergere’ questi ragazzi tutti compresi nella parte del cantante, che ‘ipergorgheggiano’… In realtà, a ben vedere, vengono selezionati e costruiti proprio su quella base. E a pensarci non fanno altro che eseguire pezzi di altri che altri hanno scelto per loro. Insomma, c’è una grande crisi di identità nella musica leggera, lo specchio della crisi di identità del mondo occidentale, e i giovani subiscono condizionamenti di massa senza reagire, anzi cercando di integrarsi il più possibile. Ecco, oggi la musica leggera è prigioniera del giovanilismo”
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