Du iu śpich frares?
29 Ottobre 2017

C’era tanta nebbia a Ferrara

di Maurizio Musacchi | 8 min

La bruma s’infittisce. Ora lungo Corso Porta Po, non si notano, oltre i cento metri, nemmeno le sagome delle automobili. Sulle labbra di Maura c’è un nome, un perché, un qualcosa: facile non abbia mai inteso nominare. Lauro il maratoneta delle Mura. Macchinalmente, realizzando la sua situazione, ha levato gli occhi, cercando intorno. Di là dalla strada, egli passa finalmente rasentando il muro sul marciapiede, si ferma davanti alla mescita di vini “Da Joris”. Entra, ed esce pochi minuti dopo con un fiasco di Chianti stretto nella mano destra. La lunga mano affusolata. Quella mano che le allungò la prima volta presentatole da Carla, l’amica del cuore. Il brivido le comunicò al corpo qualcosa che precedette la ridda di sentimenti che si sarebbero scatenati in poco tempo: ma subito quel calore. Il rossore la colpì come un folgore nelle sere d’estate; uno di quei lampi improvvisi, seguiti dal terrorizzante fracasso del tuono. Ebbe tale sensazione al tocco, a quella stretta. Era in fin dei conti, solo il formale contatto di due persone civili che si presentano, ma per lei fu anche un messaggio, quasi carnale, nel senso più evidente dei termini. Seguitarono le solite diatribe e schermaglie che intercorrono fra uomini e donne allorché i maschi tendono a corteggiare. Le donne cercano di capire, accettare, respingere, rimandare le dispute con varianti determinate dalle situazioni o gli stati d’animo. L’uomo caccia, ci prova, azzarda e così via; tentando di ghermire la preda, con motivazioni variabili. Per un’avventura o per un amore cercato e trovato o creduto di trovare nella persona che in quel momento è lì davanti.

La donna osserva scruta, studia, cerca di capire; poi, decide: accetta rimanda ad altra occasione o respinge, decidendo così dei destini di due vite, la sua e quella di chi ha davanti! L’espediente degli sprovveduti, di schivare la tesi per agguantare le persone; sembra più che legittimo di un’interlocutrice che è per natura, disposta a prendere sul serio. Sulla soglia del negozio di merce dirimpetto, è rimasta immobile in mezzo al marciapiede. Sembra voglia fissare il vuoto nel grigiore insinuante della nebbia. Nei suoi occhi passano saettanti, immagini di un tempo nemmeno troppo lontano.

C’era il sole e dopo il primo approccio di presentazione, s’erano ritrovati sulle mura cittadine. Chilometri di sentieri diventati da qualche anno, palestra di maratoneti, ciclisti, bambini accompagnati da genitori o nonni, cani, perfino qualcuno a cavallo. Colori sgargianti lampeggiavano nel verde dell’erba o delle foglie degli alberi, o del grigio del sentiero. Perle cromatiche accompagnate da chiacchiericcio dei podisti affiancati, dalle grida dei bambini, e qualche latrato, prevalentemente festante dei cani.

La gente usufruiva con entusiasmo di quelle piste ricavate da vecchie strutture guerresche volute dagli Estensi, le mura di cinta: lunghe più di dieci chilometri, per difendere la città, e quasi mai usate a scopi bellici, ora riscoperte anche perle turistiche dell’antica Capitale Estense.

S’era affiancato lui una mattina soleggiata. Lei correva stancamente, ansando per la fatica, era una delle prime volte in cui s’era avventurata sulle mura unendosi alla moltitudine di gente e animali. Sentì un passo abbastanza pesante di chi doveva essere certamente un atleta. Forse l’aveva pure cercato, magari inconsciamente. Lo sentì affiancarsi: cominciò a parlarle salutandola educatamente. Parlarono della circostanza e dell’amica che li aveva fatti incontrare. Lui intanto, aveva rallentato la corsa, poi rallentarono ancor più e cominciarono una passeggiata che li avrebbe condotti, nel tempo ad altri appuntamenti, prima quasi casuali, poi più intimi in luoghi più appartati. Nacque così, come tante vicende, la loro storia d’amore; bella intensa, dolce, appassionata, niente di nuovo, una delle tante. Già…una delle tante. Ma per Maura non era “una delle tante”, era la sua, l’unica vera storia d’amore che contasse, la stupefacente, sbalorditiva, sorprendente, unica storia che contasse…la sua! Giorni, settimane intense d’amore. Poi, lei che non aveva mai parlato con nessuno delle sue cose personali o intime, si fece prendere come dalla smania di aprirsi a qualcuno. Era troppo magico ciò che provava. Un ragazzo meraviglioso, un amante che le faceva perdere la cognizione del tempo e dello spazio. La casa in Via Colomba, situata nel cuore del vecchio centro storico della città; di proprietà della nonna dell’uomo. Disabitata perché la vecchia, ormai non più autosufficiente per via di una forma d’artrite progressiva che la costringeva ad una perenne, quasi totale immobilità, era ospite in una struttura per anziani, era l’alcova comoda, perché vi si poteva entrare senza essere notati, e magica perché quando lui la faceva entrare e la prendeva fra le braccia sentiva come un qualcosa che la faceva volare, per ore nel cielo dell’estasi, nell’universo del vivere, nello spazio del senza limite! In famiglia il s’accorsero presto che quella ragazzina, studiosa, riflessiva, perennemente seria, quasi seriosa, era diventata solare, allegra, sbarazzina. Abbracciava Luigi, il papà, e gli accarezzava i capelli con gesto che la riportava ad altra persona e ad altra situazione, ma che il padre certo non avrebbe mai potuto immaginare. Con la mamma, era un po’ più prudente, lei avrebbe potuto capire ciò che non avrebbe dovuto sapere.

  Lauro le aveva sì promesso di fidanzarsi e regolarizzare la loro situazione, ma di tale decisione allungava sempre più i tempi rimandando, ma l’amore che provava non le dava tempo e spazio per indagare e cercare di capire il perché di tali titubanze. La madre era ancora molto giovane, nemmeno quarantenne. Affascinante, una delle più belle donne di Ferrara. Quando col marito passeggiava in Corso Martiri, gli avventori maschi dei bar, prevalentemente rappresentanti della borghesia cittadina, fermavano i discorsi variandoli con complimenti, a volte pure espliciti nei confronti di madame Ferrara. Maura adorava la mamma, la guardava, l’osservava quando in casa le capitava di discutere di una sottoveste o di biancheria intima. Era bellissima: capelli lunghi, biondo naturale, occhi azzurri, seni piccoli e ben torniti, gambe lunghe e nessun segno di cellulite.

A Cesenatico, al mare, dove trascorrevano le vacanze, molte ragazze ventenni invidiavano il corpo di quella splendida signora, e naturalmente gli uomini bisbigliavano tra loro commenti di facile intuizione nei confronti di tal magnificenza.

Nel loro piccolo mondo tutto sembrava procedere al meglio. Papà, impiegato alla Cassa di Risparmio, mamma insegnante alle medie inferiori di Via Borgoleoni, godevano pertanto di una rassicurante solidità economica, rafforzata dal fatto che la casa in cui abitavano, una bella villetta ereditata dai nonni materni, morti in un tragico incidente automobilistico ancor giovani. Era in stile floreale, situata nei paraggi del campo di calcio di ove si cimentava la Spal, la mitica, per quei tempi squadra rappresentante il calcio ferrarese ai massimi livelli.

Erano invidiati, felici, sereni. Una bella, classica famiglia piccolo borghese italiana. Un giorno, Maura in un impeto di felicità, dopo un idilliaco incontro col suo lui, incontrando Carla, parlò all’amica della storia che l’avvinceva e l’aveva trasportata in paradiso. L’amica sbiancò, e quasi come un sussurro fra i denti esclamò:

-Il porco ha colpito ancora!- Prendendo il braccio dell’amica fissandola negli occhi.

Maura ebbe quasi un mancamento, intuì quasi subito il pericolo incombente e volle immediatamente spiegazione a quella frase sibillina.

-Sì è un porco, è un collezionista di donne, ha fatto la stessa cosa con me, mi ha usata e gettata. Sì è bravo a conquistarti, è un grande amante, ma poi … via una sotto un’altra! E non guarda in faccia a niente e nessuna, età, ceto e così via! Poi racconta tutto agli amici della Birreria Giori, quella di fianco al Castello ove si trova con i collezionisti come lui e parla delle sue prede. Me l’ha detto Antonio, un mio amico che cercava di mettermi in guardia, non sapendo che ormai era tardi, c’ero già caduta come una scema , maledetto!- Maura è attonita, allibita, sa che l’amica dice il vero, non lo vuol accettare, ma il macigno è caduto sulla sua vita spezzandola come un fuscello. Piove, l’ombrello l’aiuta a nascondersi. Lui crede che Maura sia all’università, ma la ragazza è là che spia, da qualche giorno s’è negata ed ha rifiutato le sue telefonate. Ecco che stavolta Lauro entra nell’alcova. Disinvolto e sicuro come il solito, entra chiudendo la porta dietro. Passano pochi minuti, una figura alta, con occhiali scuri ed un fazzoletto a coprire le sembianze, s’avvicina alla porta e bussa furtivamente, l’uscio s’apre e lei entra…

Maura è paralizzata dalla rabbia, dal disgusto, la sorpresa è traumatizzante: quel fazzoletto, gli occhiali, il soprabito, sono di una donna che lei conosce bene quell’andatura, quel portamento, quella donna è sua madre! Non s’è nemmeno resa conto di ciò che ha fatto poi, del tempo trascorso, è andata a casa, come un automa ha impugnato la pistola a tamburo che il padre teneva nel cassetto della scrivania, l’ha caricata con i proiettili della scatola di cartone a fianco la pistola stessa. Lauro si accinge ad entrare in casa, pochi metri più avanti la mescita ove ha comprato il Chianti che tiene in mano. Ha un moto di stupore vedendo Maura, presto diventa terrore alla vista della pistola. Lei non parla, gli punta in viso l’arma e fa fuoco ripetutamente, meccanicamente, quasi in trance, scarica il tamburo fino all’ultimo colpo e continua a premere il grilletto!

Qualche mese dopo, nell’ospedale psichiatrico di Via Ghiara a Ferrara, morirà d’inedia per aver rifiutato sistematicamente e testardamente il cibo. Un infermiere commenta con un collega l’evento:

-Era la figlia di quei due che si tolsero la vita sotto il treno dopo che lei uccise un giovane l’avvocato, ricordi?-

-Certo che ricordo, quel giorno; abitavano vicino a me, era … una famiglia tanto felice c’era tanta nebbia a Ferrara!-

FINE

Lasagnìn da Milzàna

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