Attualità
19 Ottobre 2017

L’integrazione sta fallendo, almeno per ora

di Ruggero Veronese | 4 min

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“Devi aiutarmi a scrivere un documento per il sindaco – dice Youssuf di fronte al primo caffè della mattinata -. Voglio mandare un appello per trovare lavoro ai miei fratelli africani”. Nobile intento, mi viene da dire, ma è realizzabile? “Non penso che ti ascolteranno – gli dico -. Purtroppo non conviene a nessuno accogliere un appello del genere”. Questa volta è lui a guardarmi perplesso: e perché mai? Del resto stiamo parlando di normalissimi impieghi, regolari, tassati e retribuiti, mica di losche attività criminali.

Gli rispondo che il Partito Democratico, che governa la città e la nazione, è in forte crisi. Assediato da chi vede in ogni aiuto o incentivo alla popolazione immigrata come una privazione a quella italiana. La coperta è corta, non è mai stata così corta, e chiunque la usi per scaldarsi ne toglie automaticamente un lembo a qualcun altro dalla parte opposta del letto. Sul fronte destro o sinistro del materasso. “Non la accoglieranno – gli dico – perché sanno che dando lavoro agli stranieri si metteranno contro tutti gli italiani disoccupati e le loro famiglie. E sono tanti, credimi. Esporsi così tanto per gli africani è un suicidio politico, i partiti lo sanno bene”.

Youssuf annuisce ma allo stesso tempo mi guarda un po’ incredulo, come tutte le volte che tocchiamo l’argomento della disoccupazione in Italia. Italiani senza lavoro, poveri, disperati? Qualcosa non gli torna. Nella sua testa, nell’ottica di chi frequenta pochissimi ferraresi e passa le giornate con i propri connazionali in via Ortigara, l’Italia è ancora la terra dei sogni e del benessere, della solidarietà, dei servizi pubblici e della previdenza sociale. Un luogo dove si lavora e girano soldi. Una nazione ricca.

Ed è proprio questo, mi viene da pensare, il peggior fallimento dell’integrazione in Italia: persone come Youssuf non hanno la minima idea del contesto sociale, economico e politico in cui sono finite. Non lo sapevano né prima di arrivare in Italia, né adesso che vivono qui ma sono tagliati fuori da ogni discussione. Oggetto, e mai soggetto, di ogni dibattito. Nessuno si è mai preso la briga di spiegar loro come funzionano i contratti in Italia, quali sono i settori economici in crisi o saturati da evitare, o quali quelli su cui puntare. Illusi da un imponente welfare nelle prime fasi dell’accoglienza, sono stati prima viziati e poi abbandonati da uno stato che non li può e neppure deve mantenere a oltranza. Ma che avrebbe almeno potuto spiegar loro la realtà dei fatti, per prepararli ad essere cittadini responsabili e autonomi.

Questo non è successo e oggi tanti – troppi – immigrati passano direttamente dalla fase del ‘paga Pantalone’ al senso di abbandono e rabbia contro uno Stato inefficiente e mal congegnato. O, come nel caso del nostro buon Youssuf, a irrealizzabili progetti di piena occupazione per italiani e stranieri, uomini e donne, giovani e adulti. Dai populisti ai delinquenti, passando per i sognatori: se ci pensate, non sono poi così diversi dagli italiani.

Alla fine gli ho consigliato di evitare generici appelli “per dare lavoro agli stranieri”, ma di cercare piuttosto di essere più propositivi, di lanciare iniziative autonome che possano anche sfociare in piccole prestazioni o veri posti di lavoro. Di dare l’esempio a tutti quegli italiani in perenne e lamentosa attesa dello ‘Stato-mamma’, che un bel giorno sistemerà tutti i nostri problemi (o che se non altro se ne prenderà le colpe).

Quando gli parlo degli errori degli italiani, che rischiano di essere ripetuti dagli stranieri, Youssuf mi guarda più convinto. Non so se il discorso lo soddisfi in linea di principio, ma credo capisca la valenza – se non altro dal punto di vista tattico – del non chiedere qualcosa che possa essere in qualche modo interpretato come una privazione agli italiani. Evitare mosse controproducenti per la propria comunità. Impegnarsi il più possibile per avere idee e proposte da lanciare, che troveranno più facilmente l’appoggio dalla società e – di conseguenza – dalle istituzioni.

Ovviamente, come sempre, il dubbio mi assale: è giusta la mia prospettiva? L’appello di Youssuf sarebbe davvero inutile o controproducente? Non starò forse commettendo lo stesso errore di Alfano e dei grillini sullo Ius Soli, quello del non voler fare “la cosa giusta al momento sbagliato”? D’altra parte, dicevamo all’inizio, qua si parla di lavori regolari, mica di narcotraffico con la Colombia. Su questo punto mi piacerebbe sentire cosa ne pensate.

Quello di cui invece sono certo e sempre più convinto è l’assoluta e assurda incapacità delle istituzioni italiane nel preparare una vera integrazione per la popolazione straniera. Youssuf chiede all’Italia decine di posti di lavoro in assoluta buona fede, perché è convinto che l’Italia ne abbia la possibilità. Gli stranieri non hanno idea del paese dove vivono, hanno un’immagine idealizzata e ideologizzata degli italiani tanto quanto gli italiani ce l’hanno degli stranieri. Siamo mondi che non si incontrano, se non per singola iniziativa di singole persone. Se il Pd vuole davvero creare un clima di integrazione, quello che manca completamente a Ferrara, probabilmente dovrebbe ripensare completamente il proprio sistema di welfare e accoglienza: che sia prima di tutto una scuola di educazione civica, e solo in seconda istanza una mammella a cui attaccarsi. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma di certo è l’unico punto di partenza possibile.

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