Eventi e cultura
11 Ottobre 2015
Il teologo ferrarese definisce questa mancanza come "un piccolo vulnus alla democrazia del nostro Paese"

Stefani: “In Italia manca una legge sulla libertà religiosa”

di Elisa Fornasini | 4 min

OLYMPUS DIGITAL CAMERAA dispetto della sinteticità del titolo, “Democrazia e religioni”, l’incontro di venerdì pomeriggio alla biblioteca Ariostea ha trattato un tema molto complesso ed articolato, in occasione del ciclo di conferenze “La democrazia come problema” curato dall’istituto Gramsci e dall’istituto di Storia Contemporanea di Ferrara. Ospite dell’appuntamento è stato Piero Stefani, la cui relazione sul rapporto tra democrazia e religioni è stata introdotta da Carlo Pagnoni.

“Il sistema di rapporti tra democrazia e religioni è una storia lunga che si trascina nel tempo – introduce Pagnoni -: mentre la democrazia è aperta indifferentemente a tutte le religioni, le singoli religioni hanno una loro pretesa di condizionare le scelte democratiche che vengono fatte negli Stati in cui vige la democrazia”. Il teologo, invece che da una tesi già ‘impacchettata’, preferisce partire dalla definizione di religione, “un sistema basato su tre elementi: mito, rito, ethos. Ogni religione ha in sé una componente mitica (racconti), rituale (prassi legata al gruppo) ed etica (modo di comportarsi sia rispetto ai vincoli del proprio gruppo sia a quelli dell’esterno)”. Una premessa doverosa per spiegare come la religione non faccia parte solo della sfera privata, anche se questo non vuole dire mandarla alla ribalta della sfera pubblica.

Il tema viene infatti contestualizzato “in un periodo storico, lungo ormai 40 anni, in cui le religioni sono protagoniste della scena pubblica, dalla rivoluzione iraniana del 1979 alla minaccia del terrorismo islamico dei nostri giorni”. Se è indiscutibile che le religioni abbiano un ruolo importante nella democrazia, il discorso può essere articolato in tre livelli: “se e quanto tasso di democrazia le religioni possono mantenere al proprio interno, come le religioni si atteggiano nei confronti dello stato democratico e come gli stati democratici regolamentano la presenza delle religioni all’interno dei vari paesi”.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA“Non è incompatibile un sistema democratico all’interno delle comunità religiose – prosegue Stefani, prendendo a esempio le chiese libere congregazionaliste – ma si tratta di comunità piccole che hanno dei limiti. La maggior parte delle religioni non sono democratiche per struttura: ad esempio il cattolicesimo attuale, che adesso gode di grande popolarità, è lontano mille miglia dal regolamentarsi in modo democratico. Il Papa chiama i fedeli ‘sudditi’”. Allora come si regolamentano i rapporti tra religioni e democrazia? “In uno stato democratico possiamo trovare due situazioni: i contenuti sono gli stessi quindi anche se le fondazioni sono diverse è possibile collaborare, o i contenuti divergono e allora troviamo il tema che negli ultimi anni è stato gestito con l espressione ‘relativismo’”.

“I sistemi religiosi tendono a dire che l’autorità sia Dio, perciò la democrazia può essere una formula compatibile ma non richiesta. La chiesa non ha mai chiesto allo stato di essere democratico per fare un patto con lei, d’altra parte è storicamente sicuro che dietro all’elaborazione di certi principi democratici ci siano degli elementi religiosi” spiega il teologo, leggendo alcuni passi della dichiarazione islamica dei diritti dell’uomo. Gli stati democratici accettano le componenti della religione “ma un principio fondato sul tuo mito non va portato nel dibattito pubblico”. “Nelle attuali società non è poi possibile adottare la logica liberale tra stato e religione – ribadisce Stefani – perché le religioni non sono mai state qualcosa di solamente spirituale o privato. Allora come si tiene questo rapporto nella società post liberale?”.

L’esegeta ferrarese risponde alla domanda, prendendo in esame quattro casi emblematici: Stati Uniti, Israele, Iran e Italia. “Negli Stati Uniti la separazione è assoluta, le comunità religiose non hanno niente a che fare con lo Stato ma questo consente di citare le religioni nel contesto pubblico: il presidente giura sulla Bibbia perché c’è una religione civile, il loro motto è ‘in God we trust’ perché hanno fiducia in un Dio comune a tutti, un Dio civile e non cristiano. Lo Stato d’Israele, invece, si definisce come uno stato democratico ed ebraico, che elargisce diritti secondo leggi religiose, mentre l’Iran è un altro tipo di modello totalmente diverso; si definisce una repubblica islamica, dove il popolo elegge la comunità dei religiosi e i rappresentanti della repubblica dalla lista dei buoni musulmani”. Come se il Papa tornasse a essere eletto dal popolo, per intenderci. Ma il problema italiano è un altro, e parte proprio dalla Costituzione.

“Gli articoli 7 e 8 pongono il modello dell’intesa tra confessioni religiose e Stato ma non credo che questa sia una forma percorribile all’interno di una società multireligiosa – conclude il teologo. – L’Italia rimanda una legge generale sulla libertà religiosa che regolamenti la parità tra religioni in senso pieno: pur non essendo una questione drammatica, penso sia un piccolo vulnus alla democrazia del nostro Paese”.

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