Cronaca
4 Giugno 2015
Rito abbreviato per due degli 'aguzzini' che avrebbero incassato per sei mesi i guadagni della giovane lucciola

Facevano prostituire la coinquilina, condannati per sfruttamento

di Ruggero Veronese | 3 min

prostituteVivevano sotto lo stesso tetto condividendo spese e guadagni, legali o illegali che fossero. Anche i proventi legati alla prostituzione della loro giovane ‘coinquilina’ bulgara, sfruttata secondo la procura di Ferrara per almeno sei mesi – dal giugno al novembre del 2014 – prima di far perdere le proprie tracce dopo l’arresto dei suoi aguzzini.

Una vicenda che ha avuto luogo a Ferrara e che ieri mattina, davanti al gup del tribunale di Ferrara e al pm Giuseppe Tittaferrante, si è conclusa con le prime due condanne in rito abbreviato (a tre anni e quattro mesi di reclusione) per due degli sfruttatori coinvolti nell’inchiesta: il 28enne albanese H.E. e la 50enne bulgara T.P.. Il terzo uomo al centro dell’indagine, il 33enne albanese S.E., considerato dagli inquirenti il ‘capo’ della banda, ha scelto invece la strada del rito ordinario e per lui si è aperta la strada del dibattimento pubblico.

Gli episodi al centro dell’inchiesta si svolgono nella seconda metà del 2014, quando la procura comincia a indagare sui ‘particolari’ rapporti tra quattro persone che vivevano nella stessa abitazione: i tre indagati e la prostituta 24enne. Secondo gli inquirenti infatti i tre coinquilini costringevano la ragazza a consegnar loro buona parte dei suoi guadagni, che andavano a finire sia in un ‘fondo spese’ per i costi della casa, sia – soprattutto – nel patrimonio personale del 33enne S.E.. Più defilato il ruolo degli altri due indagati, intercettati dalla procura mentre riferivano al ‘capo’ gli spostamenti della ragazza o mentre le impartivano ordini e indicazioni.

Intercettazioni comunque decisive ai fini dell’inchiesta, considerando che gli indagati si riferivano in maniera esplicita sia all’attività di prostituzione della 24enne che alla destinazione dei suoi guadagni. Conversazioni talmente incriminanti da spingere gli inquirenti ad arrestare i tre indagati nel novembre scorso, mettendo così fine allo sfruttamento della giovane. Che, dopo aver riferito la sua vicenda ai magistrati, ha disertato il successivo incidente probatorio rendendosi definitivamente – o almeno per il momento – irreperibile.

Come premesso, le condanne riguardano al momento i due ‘complici’ di S.E., che lo avrebbero aiutato a controllare e gestire l’attività di sfruttamento. Secondo i difensori di H.E. e T.P., gli avvocati Francesco Baccaro e Cristiano Prestinenzi, gli imputati avrebbero semplicemente ‘obbedito’ agli ordini del capo, che li ospitava nella propria abitazione senza divulgare il loro stato di clandestinità in Italia.

Secondo Baccaro, che preannuncia l’appello dopo la lettura delle motivazioni, il 28enne albanese era effettivamente in grado di mantenersi autonomamente senza ricorrere allo sfruttamento della prostituta, ma i suoi lavori ‘in nero’ avrebbero reso impossibile provarlo in tribunale. “Riteniamo – afferma l’avvocato – che la condanna sia stata eccessiva considerando il ruolo molto marginale dell’imputato, che si è trovato nel luogo sbagliato al momento sbagliato, aderendo alle richieste di fornire informazioni sugli spostamenti e le frequentazioni della parte offesa”, poi non poste in essere (secondo quanto riferito alla parte offesa).

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