Economia e Lavoro
30 Maggio 2015
Versalis fa dietrofront sugli investimenti da 200 milioni. Filctem - Cgil: "A rischio tutto il comparto chimico italiano"

Eni ‘in fuga’ dall’Italia: allarme e sciopero al petrolchimico

di Ruggero Veronese | 4 min

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Fausto Chiarioni tra gli rsu Versalis Andrea Boldrini e Roberto Campanighi

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È un rapporto sempre più travagliato quello che lega le aziende del gruppo Eni al comparto chimico italiano. Un rapporto in crisi da diversi anni – da quando a Marghera arrivarono le prime avvisaglie della chiusura dell’impianto cracking – e deterioratosi ancor più con la nomina della nuova coppia dirigente (amministratore delegato e presidente) Claudio Descalzi ed Emma Marcegaglia, la cui politica pare sempre più mirata a trasformare il colosso petrolchimico italiano in un gruppo specializzato prevalentemente nelle attività estrattive. Con tutte le conseguenze del caso.

Conseguenze che non è difficile intuire: in primo luogo gli investimenti di questo carattere non possono che essere diretti prevalentemente fuori dall’Italia, paese povero di idrocarburi. E a pagarne il prezzo sono i ‘rami’ del gruppo dedicati alla raffinazione, alla ricerca e alla produzione chimica in generale. Che impatto ha questo sul petrolchimico ferrarese? Innanzitutto che Versalis, azienda del gruppo Eni, dopo aver annunciato in gennaio 200 milioni di euro di investimenti per tre diverse opere da realizzare nel 2016 (una nuova linea produttiva di gomme per il futuro impianto XXVII, il revamping di tre linee dell’impianto XXVI e un intervento conservativo sull’impianto X), tra marzo e maggio ha rimandato o annullato i propri impegni industriali nello stabilimento. L’entrata in funzione della nuova linea slitterà infatti al 2019, il revamping al 2017 e addirittura l’impianto Ctz (per la produzione di catalizzatori) andrà incontro a una chiusura per i prossimi due anni. Il tutto mentre dai vertici Eni arriva la notizia  la conferma della chiusura definita, il prossimo ottobre, dell’impianto cracking di Porto Marghera, vitale per garantire l’approvvigionamento dei monomeri di base ai petrolchimici del nord Italia.

Informazioni forse un po’ tecniche, ma assai preoccupanti per gli addetti ai lavori: basti pensare che dai costi di approvvigionamento delle materie prime dipendono non solo gli investimenti e la permanenza di Eni, ma anche di tutte le aziende (Lyondell-Basell ne è l’esempio principe) insediate nel petrolchimico ferrarese. Per questo la Filctem – Cgil lancia oggi l’allarme sul futuro della chimica italiana e ferrarese, organizzando anche uno sciopero dei dipendenti Versalis per il prossimo 3 giugno, con contemporaneo presidio davanti ai cancelli dello stabilimento durante la giornata. In gioco non ci sono solo i 10 lavoratori dell’impianto Ctz, che verranno riassegnati ad altri impianti e ricerche, ma il futuro dell’intero comparto chimico.

“La chiusura dell’impianto – afferma il segretario Filctem Fausto Chiarioni – in realtà risponde a una decisione di carattere politico industriale di Eni che prefigura, come indica la chiusura del ‘craking’ di Marghera, di chiudere il ciclo produttivo dell’etilene e di conseguenza del propilene. Questo comporta una riduzione della presenza di Eni nella chimica italiana, e ricordo che parliamo di un gruppo centrale per il mantenimento dell’asset in Italia. Questo nostro pensiero è confermato dalle dichiarazioni della Marcegaglia, secondo cui Eni diventerà una ‘oil and gas company‘ e ridurrà le attività chimiche e della raffinazione. Una scelta strategica di questo tipo comporterebbe la crisi di tutto il comparto produttivo, perchè chiudendo il comparto dell’etilene si manderebbero in crisi tutte le aziende il petrolchimico che necessitano di monomeri di base”.

Scelte strategiche che ai sindacalisti appaiono ancora più illogiche alla luce del particolare momento del mercato, con i costi degli idrocarburi mai così bassi negli ultimi anni: “Eni – continua Chiarioni – si sta muovendo in controtendenza rispetto agli altri grandi gruppi: oggi il cracking di Marghera è in funzione per volontà di Shell (che attende la riparazione del proprio impianto andato a fuoco in Olanda, ndr), che pare abbia chiesto una nuova proroga a Eni. E anche Repsol sta lavorando alla ristrutturazione del proprio impianto di craking (oltre 60 milioni di euro nello stabilimento spagnolo di Puertollano, ndr), visto che oggi il calo del prezzo del petrolio sta determinando vantaggi per il settore della raffinazione e meno introiti nell’estrazione”. Scelte aziendali che il sindacato definisce “incomprensibili” e per le quali la Filctem spera in un intervento del governo, in modo che detti una politica industriale più attenta all’occupazione e all’indotto interno in quella che è e resta un’azienda a controllo pubblico (con circa il 30% delle azioni). “Per cambiare le politiche di Eni non basta la Regione o il Comune, ma serve un’azione dell’esecutivo. A volte è complicato distinguere tra le decisioni dell’azienda e quelle del governo, ma ci risulta che in questo caso il piano industriale non abbia trovato molto riscontro nella politica”. Il messaggio insomma è chiaro: se qualcuno a Roma sta ascoltando, batta un colpo. E in fretta.

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