Backstage
18 Maggio 2015

Tra un teatro e l’altro

di Gianni Fantoni | 4 min

Fare l’attore è un mestiere, anche. Sì, certo, c’è la parte artistica che ti porta a frequentare le muse dispettose della creatività, ma c’è anche una parte di artigianato che è quella che traduce i sogni in fatturato, che serve tangibilmente a pagare le bollette e a fare la spesa.

Nel momento della rappresentazione, se l’attore è stato bravo, lo spettatore viene trascinato via dai suoi guai quotidiani in un altrove di tregua, con emozioni che spesso rimangono. Ma quello che succede agli attori sul palco, a volte, specie nelle tournée lunghe, è qualcosa di molto meno magico e decisamente più vicino alla quotidianità. Prima, durante l’allestimento dello spettacolo, e poi, durante il debutto e le prime 10-15 repliche, la concentrazione verso lo spettacolo è ancora molto forte: è un susseguirsi di attenzioni che si susseguono veloci, di intenzioni e movimenti che s’accodano obbedienti, incastri con i colleghi, timori che tengono desto il cervello. Poi, invariabilmente, dopo quel periodo iniziale, subentra quella discreta sicurezza che ti fa pensare “lo spettacolo c’è” e con lei arriva anche quel po’ di (rischiosissima!) routine, che si ripropone negli anni anche al più blasonato capocomico, per quanto cerchi di mascherarlo. Perché fare l’attore è anche un mestiere, e come tale ha i suoi certi ed incerti. Partiamo dal pomeriggio della replica. Di solito si raggiunge il teatro verso le 18, in tempo per fare un bel soundcheck: sia che si debba cantare in scena o no, ogni teatro ha una propria acustica ed è necessario adattare i volumi tutte le sere affinché il riverbero sia adatto alla bisogna e non faccia parlare gli attori con echi che ricordino il Papa durante l’Angelus. Poco prima di quello, c’è l’occupazione del camerino: di solito sono o troppo freddi o troppo caldi, con ancora residui brillantini sulle sedie che ti si attaccano ai vestiti e, una volta a casa, offriranno agli attori maschi dei begli argomenti di discussioni con le proprie femmine, a caccia di facili adulterazioni del rapporto. Generalmente c’è un solo bagno, in fondo al corridoio, e stai sicuro che uno in compagnia è quello che riesce sempre ad occuparlo subito prima di te, per scopi “importanti”, alimentando goliardiche discussioni con i malcapitati colleghi. Subito dopo il soundcheck si passa alla cosa più importante per la compagnia: mangiare. Prima o dopo lo spettacolo, è il solito dilemma. Se non si rimane a dormire, si tende a farlo prima, ma i buoni propositi di “mangiare leggero perché poi si deve andare in scena” di solito si sciolgono davanti ad aperitivi vigorosi a base di vini pregiati, assaggini di salumi, formaggi e quanto di più indigeribile ti rimarrà in gola per tutta la durata della recita. Se si mangia dopo lo spettacolo, generalmente succede in posti assurdi, dove il personale, costretto a rimanere per colpa degli attori ben oltre il normale orario senza avere compensi aggiuntivi, passerà immancabilmente dal sorriso per la novità all’odio verso la categoria, che non se ne va mai quando dovrebbe, attardandosi in pettegolezzi sui colleghi e sulla categoria. Poco prima dell’apertura del sipario c’è il rito scaramantico classico: tutti gli attori che devono andare in scena si sistemano in cerchio, appoggiando la mano sinistra le une sulle altre e urlano a bassa voce per tre volte “merda-merda-merda”. È un riferimento di buon auspicio che arriva dall’antichità: avere tanta merda significava che a vederti erano venuti in molti, con le carrozze trainate dai cavalli e quindi ci si augura molti intervenuti. In realtà, oggi lo sai prima di andare in scena con una certa sicurezza; quando non viene nessuno, o poca gente, in gergo si dice avere fatto un “forno.”

Finito lo spettacolo, se proprio non si può tornare a casa, si raggiunge l’albergo che ti ha prenotato (e, si spera, pagato) il produttore: mi è capitato di dormire in posti molto belli, ma anche in altrettanti orrendi. In questi ultimi, generalmente, ti addormenti col pensiero che l’indomani te ne andrai presto, e non ci sarà una colazione decente. L’esperienza non mente mai. Lasci l’albergo raccapricciante e vai verso la tua nuova meta, speranzoso di fermarti a mangiare “in un posticino.” Grazie a TripAdvisor questo è sempre più probabile. Dopo pranzo, ancora rincoglionito dalla notte in cui non sei riuscito a riposare, viaggi per arrivare nel nuovo teatro, giusto in tempo per ricominciare la trafila partendo dal soundcheck.

Dopo tre mesi di tournée il tuo fegato ha smesso di salutarti e gli arretrati della stanchezza si fanno sentire in scena, quando cominci a sbagliare qualche parola, anche se il pubblico non lo saprà mai. Certo, gli applausi e i complimenti leniscono la fatica, ma, come diceva Arbore, il segreto di questo mestiere è il riposo. Purché non sia quello eterno!

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