Pensieri stringati
13 Maggio 2015

Numero 12

di Paolo Simonato | 6 min

Esco di casa.

Il sonno prolungato e accondisceso, la colazione compiaciuta, la chiarezza dell’aria, la consapevolezza che è domenica, l’aspettativa di trovarmi col mio amico, tutto conferisce oggi ai miei passi una leggerezza inconsueta.

Anche Mascia, rifletto, stamane mi sembrava serena, lieve: un istante fa, salutandomi, mi ha baciato sulle labbra e poi ha soffermato su di me uno sguardo complice, allusivo, che mi fa avviare la corsa accompagnato da quella particolare forma di piacere rappresentata dall’attesa del piacere.

Raggiungo Luca all’alberone e ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza).

Ci siamo appena scambiati i primi convenevoli che incrociamo due ragazze che passeggiano e parlano tra di loro con aria partecipe e divertita; sono giovani, carine, e una di loro tiene in mano un rametto di mimosa.

“Eh già che oggi è la festa della donna” commenta quasi distrattamente Luca.

“E’ vero!” mi sovviene “ecco perché Mascia mi guardava così…”

“Così come?”

“In modo così allusivo… e io che pensavo che l’aria di primavera le avesse fatto venire certe idee in testa…”

Luca sorride: “Forse voleva solo farti notare che non le hai fatto gli auguri”.

“Forse” ribatto pensieroso, mentre senza fretta lasciamo che le nostre falcate si allunghino di quel tanto che è favorito dalla dolce discesa del sentiero di cemento che ci conduce a Porta Mare.

“Però questa faccenda delle mimose, degli auguri, se ti devo dire la verità non mi piace” azzardo, quasi temendo di confessare un pensiero sbagliato.

“Neanche a me” mi conforta il mio compagno “è una ritualità che si è strutturata negli ultimi tempi, ma che forse ha parecchio svuotato il senso profondo della festa. Chissà cosa ne pensano le nostre mamme…”.

“Senti Luca, mia madre proprio ieri mi ha raccontato una storia. Non so se c’entra con la festa della donna; sicuramente c’entra con che donna è lei”.

Il mio amico, che ha già capito che vorrei che lui mi ascoltasse, mi dice:

“Ti ascolto”.

“Mio nonno aveva due passioni: gli orologi e gli animali.

Nel 1950 ebbe un grave ictus, ma allora era assai raro che una persona, specie da un piccolo paese, fosse ricoverata in ospedale. Mia madre, che aveva 20 anni, si dovette prendere cura di lui, e intanto mandare anche avanti il bar.

Il dottore, o come si diceva a quei tempi il medico di condotta, andava a visitarlo tutti i giorni.

Il metodo allora utilizzato per fare diminuire la pressione arteriosa erano le sanguisughe (ogni medico aveva cura di tenerne alcune nel suo studio) o, nei casi più seri, il salasso. Poiché mio nonno era un grave iperteso il medico doveva fargli spesso dei salassi. Mia madre tra l’altro aveva il compito di reggere il catino per raccogliere il sangue, perché i suoi fratelli si impressionavano; figurati che una volta la pressione era così alta che appena incisa l’arteria il sangue arrivò a schizzare le tende. Comunque per svariati mesi mio nonno stette molto male; era confuso, delirava, aveva allucinazioni visive”.

“Cosa vedeva? Lo sai?”

“Mi ha detto mia mamma che vedeva mia nonna, vestita di bianco, che se ne andava a spasso con altri uomini; o mia mamma che andava via con il dottore… Fu un periodo davvero difficile. Poi però, un giorno di marzo, improvvisamente tornò in sé. Mia mamma, che vegliava su di lui seduta vicino al letto, lo capì subito.

Lui la guardò e per la prima volta dopo tanto tempo parve vederla veramente, e non confonderla con uno dei suoi incubi ad occhi aperti.

‘Lisetta’ le domandò con un filo di voce ‘Sono morto?’.

‘No papà’ rispose mia madre ‘non sei morto; sei stato male, ma adesso stai meglio’; e gli accarezzò una guancia.

‘Mi hai aiutato tu?’

‘Sì, ti ho aiutato io’

Lui sorrise; ma come ti ho detto mio nonno aveva due passioni: gli orologi e gli animali.

Quindi gli venne in mente qualcosa, si fece serio in volto e disse:

‘Allora però la pendola si sarà fermata’.

‘No papà’ rispose mia madre ‘la pendola non si è fermata’; ed aprì la porta della stanza, per fargli vedere la grande pendola a colonna del corridoio il cui meccanismo oscillava placidamente.

‘L’hai tenuta carica tu?’

‘Sì, l’ho tenuta carica io’

Lui sorrise; ma come ti ho detto mio nonno…”

“… tuo nonno aveva due passioni: gli orologi e gli animali” mi anticipa ridendo Luca.

“Esatto! Quindi gli venne in mente qualcosa, si fece serio in volto e disse:

‘Allora però il canarino sarà morto’.

‘No papà’ rispose mia madre ‘il canarino non è morto’; ed andò in cucina, prese la gabbia con il canarino e la appoggiò sul davanzale della finestra della stanza. L’uccellino cinguettò, forse eccitato dall’aria primaverile che gli solleticava le piume.

‘Gli hai dato da mangiare tu?’

‘Sì, gli ho dato da mangiare io’.

Mio nonno sorrise e si addormentò”.

Luca ha ascoltato come sempre con attenzione; ora tace, forse è commosso, sicuramente lo sono io.

Ci fermiamo alla fontanella in fondo a Viale Belvedere e ci laviamo la faccia, bevendo un un po’ d’acqua a turno.

“E’ una storia bellissima” dice poi “tua madre aveva capito che prendersi cura di tuo nonno non significava solo prendersi cura di lui, ma anche del suo mondo, delle sue passioni”.

“Forse tenendo vive loro, caricando la pendola, nutrendo il canarino, sentiva di tenere vivo lui” aggiungo.

“Ma solo lei aveva la responsabilità di accudirlo? E i suoi fratelli?”

Non avevo mai pensato a questo aspetto della vicenda. Mi accorgo che avevo dato per scontato che fosse lei ad occuparsi del nonno, continuando anche a seguire il bar e dovendo per questo rinunciare agli studi, per i quali invece era molto portata.

“Forse allora – e un po’ mi vergogno, dicendo ‘allora’ – tutti davano per scontato che fosse un obbligo delle donne fare queste cose”.

“Comunque tua madre è una donna speciale”.

“Penso di sì…” sorrido, con un misto di pudore e di orgoglio.

“Allora perché invece che portarle il solito mazzetto di mimose come regalo per la festa della donna non le dedichi il tuo prossimo pensiero stringato su estense.com?”

“Non ci avevo pensato” rispondo mentre ci riavviciniamo all’alberone, per la fine della nostra corsa “potrebbe essere un’idea”.

Appena rientrato a casa mi sento subito in dovere di scusarmi con Mascia.

“Mi dispiace, non mi ricordavo! Perdonami, non avevo capito”.

Le mie scuse però non sortiscono l’effetto sperato.

“Di cosa parli? Che cosa non avevi capito?”

“Beh, l’otto marzo, la festa della donna… hai cercato di ricordarmelo guardandomi con insistenza prima che partissi per la corsa”.

Mascia ride e scuote la testa: “Questa poi! L’otto marzo non c’entra niente. Volevo solo farti capire che mi piace come ti stanno i pantaloncini nuovi…”

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