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11 Maggio 2015

«Ma come se le inventa?»

di Gianni Fantoni | 4 min

Joseph Conrad, autore di “Cuore di tenebra”, da cui trassero il film “Apocalypse Now”, diceva: «Come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?».

In effetti è difficile spiegare come trasformare in lavoro ciò che sarebbe il suo esatto contrario: la creatività. È un po’ come una farfalla: ti si posa addosso quando meno te l’aspetti e quando invece ti fissi ad acchiapparla non ce la fai proprio. Le idee più o meno funzionano in egual misura. La miglior tecnica per farsi venire un’idea buona è… fare altro. Che so, andare a far la spesa, andare al cinema, passeggiare… ecco. Le idee più feconde mi sono venute passeggiando. Si può quindi dire che quando io passeggio, lavoro. Beh, se vogliamo, possiamo spingerci ad aggiungere che io abbia molte qualità in comune con chi esercita il mestiere più antico del mondo! Niente supera la realtà, basta osservarla. I comici, gli attori, rubano continuamente dalla vita comune: Shakespeare lo sapeva bene, sostenendo che “tutto il mondo è palcoscenico.” Soprattutto i comici riescono a filtrare la quotidianità e a vedere tutte le occasioni di umorismo che ci sono in giro; si potrebbe dire che un comico non sia altro che un disvelatore più che un inventore di umorismo. Molti comici hanno tratto il loro intercalare da qualcuno che “parlava proprio in quel modo”: Mimmo, uno dei personaggi più riusciti di Carlo Verdone, ad esempio, altri non è che il suo amico Stefano Natale, stessa voce, stesse modalità di raccontare.

In questo periodo passeggio spesso col cane nel sottomura, e devo dire che il giacimento continuo di tipi umani e situazioni aiuta a vivere più leggeri: podisti, ciclisti e padroni di cani, fagiani che scappano a piedi…

Molti podisti non sembrano correre per sé: sembrano più che altro scappare da un disastro, un incendio. Hanno la faccia sofferente di chi è costretto a correre via da un qualcosa più grande di lui, e se non fosse una evidente questione di vita o di morte si fermerebbero subito.

Si vede che odiano i cani e i padroni di cani: gli spezzano il ritmo, li costringono a zigzagare evitando qualche scarto improvviso che regolarmente questo o quell’animale compie quasi guidato da una invisibile mano dispettosa. Ma, dico io, non è una pista del motovelodromo: si condivide uno spazio, non puoi spazientirti perché ci sono ostacoli viventi sui tuoi stessi camminamenti… e poi non stai correndo la maratona di New York! Vige il luogo comune che nessuno sia più abituato a chiedere scusa, ma se provi a farlo ti accorgi che è ancora più raro chi le accetta: di solito semplicemente inveiscono. Tolleranza, pazienza… cose che i ciclisti con le loro belle mountain bike non sanno cosa siano. Sfrecciano occupando i pertugi lasciati liberi dagli esseri viventi e ci s’infilano a folle velocità. Ma almeno un colpo di campanello potreste darlo, su.

Poi ci sono i padroni di cani che non vogliono che il loro animale sia contaminato dai quattrozampe degli altri, come se glielo volessero macchiare. Lo tengono a distanza ravvicinatissima, come un portachiavi. Vecchine borotalcate e occhialute che sono palesemente infastidite dal dover far uscire di casa la propria bestiolina, piccola ma molto pelosa, perché sanno che ritornerà tutta impolverata. E ci sono padroni di cani che, dopo che il loro cane ha morso un orecchio al tuo, ti dicono: «Eeeh, delle volte lo fa.» Dirlo prima, no, eh? Cos’è, un test per vedere quanto volte prende l’iniziativa? Molto spesso il cane è meglio del padrone.

In questi giorni c’è già il primo caldone, e un po’ gli sforzi nel correre, un po’ l’afa e il polline, una podista mi avvicina e dice: «Ecco! La disturbo perché voglio proprio farmi un selfie con il Gabibbo!» Quando le ho spiegato che non sono il famoso pupazzo, e non ho idea di come le sia venuto in mente ci è rimasta male: «Scusi, ne ero convinta, da anni», ha aggiunto.

A onor del vero è una leggenda che ogni tanto ritorna fuori, ma non ne sapremo mai l’origine. Sì, ho lavorato col Gabibbo più volte, ma come avrei mai potuto essere contemporaneamente dentro e a fianco allo stesso pupazzo?

Una volta l’ho spiegato bene anche a un raccoglitore di firme “contro la droga” in piazza. Anche lui credeva a questa leggenda. Gli ho fatto capire come stanno le cose, pian piano, con pazienza: c’è dentro un mimo, piccolino di statura, e la voce la fa un altro. Io ho lavorato con lui, eccetera. Sembrava finalmente aver capito. Mentre mi allontano, mi saluta sorridente e mi grida: «Però, almeno la voce potevi farmela!»

 

 

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