Tutto era nato come un tranquillo modo per passare il tempo nel carcere di via Arginone: partite a poker durante le ‘ore di socialità’. Nessuno – né tanto meno gli agenti della polizia penitenziaria – poteva immaginare i risvolti della vicenda, con un carcerato minacciato di ripercussioni sulla sua famiglia se non avesse pagato i debiti contratti nel giro di pochi mesi con tre compagni di gioco, tutti ospiti dell’ex quarta sezione della casa circondariale. E costretto – almeno secondo il suo resoconto – a effettuare un versamento in contanti e a comprare beni di consumo per i propri creditori all’interno del carcere.
Una vicenda non semplice da ricostruire per i giudici, quella di cui si è trattato nel tribunale di Ferrara. Dove sul banco dei testimoni è salito proprio l’uomo che ha dato il via alle indagini, raccontando alla polizia penitenziaria le angherie a cui sarebbe stato sottoposto dai tre ex compagni di poker: “All’inizio si trattava solo di piccole scommesse tra noi detenuti: ci giocavamo i caffè o le sigarette. Poi mi hanno accusato di non aver pagato la quota per le puntate di apertura: 600 euro a ognuno di loro. Ma era una regola che si sono inventati, non so quel giorno o in maniera premeditata”. Da quel momento, racconta il carcerato, durante la sua reclusione nella casa circondariale sarebbero cominciate le minacce – più o meno velate – di pestaggi e ritorsioni anche verso la sua famiglia, tanto da spingerlo a scendere a patti con gli ex compagni di gioco pagandoli direttamente o attraverso piccoli acquisti nello spaccio del carcere.
A essere imputati nel processo, con l’accusa di estorsione e rapina aggravata, sono i due detenuti Giovanni Marino e Salvatore Raimondi, mentre il terzo degli ‘accusati’, Alban Alushaj, è stato prosciolto in sede di udienza preliminare. I fatti si svolgono nella primavera del 2012, quando i tre cominciano a riunirsi per alcune sessioni di poker con un detenuto recluso da poche settimane dopo una condanna per truffa. Ed è stato proprio il ‘truffatore’ del gruppo oggi a parlare in tribunale del “raggiro” di cui sarebbe caduto vittima: dopo qualche incontro infatti i suoi tre compagni di gioco lo avrebbero accusato di non aver pagato una somma per la puntata di apertura – a suo dire mai concordata – assai consistente: 1.800 euro da dividere equamente in tre parti.
Un debito che il detenuto avrebbe cominciato a prendere sul serio solo qualche settimana dopo, quando Marino uscì dal carcere per andare agli arresti domiciliari. Da quel momento Raimondi si sarebbe fatto carico di riscuotere il debito complessivo, aggiungendo in maniera sibillina di essere al corrente di dove vivesse la famiglia del suo debitore. La preoccupazione insomma era che uno dei creditori, ormai fuori dal carcere, potesse effettivamente mettere a segno una ritorsione verso i familiari del detenuto. Che per questo motivo chiese alla figlia di spedire un vaglia da 250 euro a Marino per calmare le acque e nel frattempo cominciò a fare la spesa con piccoli beni di consumo per Raimondi e Alushaj, ancora reclusi in via Arginone. Furono anche altri detenuti, estranei alla vicenda, a consigliargli di denunciare il tutto alla polizia penitenziaria, dando così il via alle indagini. Spetterà ora al collegio dei giudici Marini, Testoni e Attinà stabilire l’effettivo svolgimento dei fatti e stabilire se le ‘amichevoli’ partite a carte si siano effettivamente trasformate in vere sedute di gioco d’azzardo – vietate per legge, tanto più all’interno di un carcere – con tanto di estorsione verso un partecipante. Nel frattempo, nel dubbio, vale la pena ricordare un detto tanto saggio quanto antico per i giocatori di poker: “Se dopo cinque minuti non hai ancora capito chi è il pollo seduto al tavolo, probabilmente il pollo sei tu”.