Cronaca
18 Agosto 2014
Prima di partire per un 'viaggio' nei centri di accoglienza, una panoramica su numeri, obiettivi e criticità dell'operazione

Mare Nostrum: “Dopo l’accoglienza il nulla”

di Ruggero Veronese | 4 min

profughi 2Che il tema della gestione dell’immigrazione sia una delle maggiori sfide per l’attuale politica è un fatto assodato. I 196mila stranieri che nel 2002 si spostarono in Italia si sono quasi quadruplicati fino ai 786mila del 2013, mentre crisi e guerre in Africa e Medio Oriente continuano a spingere sempre più profughi sulle coste italiane. In questi giorni abbiamo osservato la realtà di vari centri di accoglienza ferraresi, che tratteremo nel dettaglio nei prossimi articoli, per capire quali sono gli strumenti previsti a livello nazionale e come si traducono in concreto sul territorio. E ascoltando dalla voce degli stessi operatori i punti di forza e le criticità dei vari progetti, tra cui spicca in particolare l’assenza di un percorso di avvicinamento al mondo del lavoro.

L’operazione più imponente in termini di costi e personale è Mare Nostrum, inaugurata nell’ottobre scorso dal Ministero dell’Interno (che ne sostiene i costi insieme al Ministero della Difesa) e che da allora conta circa 70mila profughi accolti, di cui circa 145 sono ora ospitati nelle strutture ferraresi. Il suo scopo è di intercettare barche e gommoni prima che raggiungano le coste italiane, in modo da poter identificare i profughi e indirizzarli verso i centri di accoglienza locali, finanziati a livello ministeriale.

In Emilia-Romagna buona parte del lavoro preliminare viene compiuto dal nuovo hub di Bologna, in sperimentazione da circa un mese, che effettua le prime visite sanitarie e il rilascio di un documento di identità. Di norma sono poi le prefetture locali a contattare associazioni e strutture ricettive sul territorio per trovare una sistemazione ai profughi, mentre a Ferrara l’accordo tra Comune e prefettura ha consentito di affidare la direzione generale all’Asp, che coordina un gruppo di enti e associazioni composto da Coop Camelot, Viale K, Amici della Caritas, F. Franceschi, Città del Ragazzo e dall’ostello di Ferrara.

“Abbiamo tentato di specializzare l’accoglienza su determinate categorie – spiega il direttore generale dell’Asp, Maurizio Pesci -, per esempio affidando i minorenni soprattutto alla Città del Ragazzo o alle strutture Caritas, a seconda che si tratti di maschi o femmine. In questi mesi sono arrivate varie etnie, anche se diversi ‘canali’ sono più oliati di altri, ma alcune sono solo di passaggio verso altri paesi europei, ad esempio i siriani, gli eritrei o i palestinesi. Quando i cittadini immigrati arrivano nelle strutture ferraresi firmano un patto di ospitalità, dove sono elencati gli obblighi reciproci: noi garantiamo vitto, alloggio, corsi di lingua italiana, assistenza sanitaria o legale per le varie commissioni che devono valutare le richieste di permessi di soggiorno. La nostra richiesta è che vengano rispettate le regole delle strutture accoglienza”.

Il punto debole – come confermano anche gli stessi operatori – è la mancanza di un percorso di avvicinamento al lavoro. Al contrario, finchè un immigrato non esce dal progetto di accoglienza (ovvero fino al rilascio o al diniego del permesso di soggiorno, iter che può durare anche sei mesi) non ha diritto a cercare un lavoro retribuito, ma solo a svolgere attività di volontariato nelle strutture dov’è ospitato. Nel patto di accoglienza si legge che “anche un’eventuale attività di volontariato proposta all’ospite ha intenti puramente di socializzazione e tesi a favorire l’integrazione sociale, sensibilizzando la popolazione alle problematiche dei richiedenti asilo”.

Resta un problema fondamentale: se alcuni enti (come Città del Ragazzo o Viale K) possono effettivamente fornire ai profughi diverse attività di volontariato, altre strutture sono puramente ricettive e non possono offrire altro che vitto e alloggio. E il rischio è che per mesi gli immigrati si ritrovino in una condizione di puro assistenzialismo e senza sviluppare nel frattempo alcuna prospettiva professionale.  “Quando ottengono il permesso di soggiorno – spiegano i responsabili di Viale K – i profughi devono uscire dai centri di accoglienza. La fragilità della prospettiva sta proprio lì: non ci risulta che esista nulla che sostenga questa uscita, se non un piccolo aiuto economico iniziale e le relazioni intrecciate. Dopo possono solo provare a entrare nei progetti di collocamento mirato dei servizi sociali, ma crediamo che in questo modo si favorisca la “lotta tra poveri”. Bisogna lanciare un appello per la creazione anche di percorsi di integrazione professionale”. Un appello diretto in particolare al governo e al Ministero dell’Interno, nella speranza che venga raccolto e rilanciato anche dagli enti locali. “Alla Città del Ragazzo cerchiamo di capire cosa vorrebbero fare e di indirizzare i giovani immigrati, ad esempio introducendoli alle riparazioni meccaniche – spiega Giordano Barioni -. La prospettiva deve passare attraverso la professionalizzazione e la costruzione di un’autonomia, altrimenti si rischia di ingrandire la schiera di disoccupati. Questi ragazzi spesso non sanno neanche cos’è un curriculum”.

Grazie per aver letto questo articolo...
Da 18 anni Estense.com offre una informazione indipendente ai suoi lettori e non ha mai accettato fondi pubblici per non pesare nemmeno un centesimo sulle spalle della collettività. Il lavoro che svolgiamo ha un costo economico non indifferente e la pubblicità dei privati non sempre è sufficiente.
Per questo chiediamo a chi quotidianamente ci legge e, speriamo, ci apprezza di darci un piccolo contributo in base alle proprie possibilità. Anche un piccolo sostegno, moltiplicato per le decine di migliaia di ferraresi che ci leggono ogni giorno, può diventare fondamentale.

 

OPPURE se preferisci non usare PayPal ma un normale bonifico bancario (anche periodico) puoi intestarlo a:

Scoop Media Edit
IBAN: IT06D0538713004000000035119 (Banca BPER)
Causale: Donazione per Estense.com