Pensieri stringati
26 Giugno 2014

Numero 4

di Paolo Simonato | 11 min

Esco di casa.

L’appuntamento è per le 19.00 all’alberone, e fino a pochi giorni fa ci saremmo trovati a fare la nostra corsa nella fresca penombra dell’imbrunire; ora il sole è ancora alto all’orizzonte e l’estate sembra davvero esplosa, per quanto non sia ancora formalmente iniziata.

Sin dalle prime falcate l’aria calda e appiccicosa mi avverte che sarà una sessione d’allenamento da affrontare con prudenza.

Quando vedo Luca avvicinarsi al nostro consueto luogo d’incontro rappresentato dall’alberone lui, prima ancora di raggiungermi, mi fa un segno con la mano come a dire che oggi sarà dura.

Ci salutiamo, ci abbracciamo senza smettere di correre (un’arte che si mette a punto solo dopo anni di esperienza) e inevitabilmente cominciamo a parlare di come l’afa tolga il respiro e di come sia difficile correre in queste condizioni.

Abbiamo appena finito di fare queste osservazioni che incrociamo un collega podista che corre in direzione opposta alla nostra: potrà avere cinquant’anni, non è molto alto, corre con passi piccoli e ravvicinati, e indossa un K-Way blu scuro con la zip tirata su fino al mento; un fazzoletto rosso legato al collo, fradicio di sudore, fa pendant con il volto paonazzo.

Il suo sbuffare cadenzato ci ha appena oltrepassati che io e Luca ci guardiamo esterrefatti:

“Con questo caldo correre con il K-Way! Certo che se ne incontra di gente strana sulla mura!” bisbiglia lui.

“Direi! Sulla mura, attorno alla mura… ci sono diversi tipi di personaggi che gravitano qui attorno. Si potrebbe fare un elenco lunghissimo”.

“Allora facciamolo, il tempo non ci manca” propone Luca “Una specie di ‘Quelli che…’ di Jannacci”.

La proposta mi alletta moltissimo: “Bene, facciamo il ‘Quelli che..’ della mura. Diciamone uno a testa. Però…” aggiungo lasciando volutamente in sospeso la frase.

“Però?” mi fa eco Luca preoccupato, perché ha già capito che sto per inserire una condizione per rendere il gioco più difficile.

“Però dobbiamo arrivare a 100”.

“Fino a 100? Impossibile, davvero”.

“Intanto cominciamo. Di solito in queste cose un’idea tira l’altra”.

“Bene. Allora comincio io” e dichiara stentoreo: “UNO: quelli che ‘corro con il K-Way perché così dimagrisco’”.

“Oh, yeah!” gli faccio eco io. E replico: “DUE: quelli che ‘guarda che così perdi solo liquidi’”.

“TRE: quelle che le vedi solo in aprile o maggio, che corrono con la tuta bianca immacolata e lasciano la scia del profumo”.

“QUATTRO: quelli che ti raggiungono, ti si attaccano dietro e ti ciucciano la ruota”.

“CINQUE: quelli in bici che portano sul seggiolino davanti il figlio piccolo, e si domandano tra quanto potranno correre assieme a lui”.

“SEI: quelle come la Mascia, che va a correre alle 5 di mattina perché poi ha una casa, un lavoro e una famiglia da tirare avanti”.

“SETTE: quelli che corrono con le cuffiette, e non ascoltano (te, il loro respiro, il vento)”.

“OTTO: quelli che corrono con la maglietta gialla e dopo un po’ sono pieni di moscerini” dico io mentre superiamo un tipo con la maglia vistosamente punteggiata.

“NOVE: quelle che hanno due tette così e corrono con la maglietta con la scritta ‘Latte Granarolo’ e non capiscono perché sorridi quando le incroci”.

“DIECI: quelli che corrono a petto nudo per fare vedere come sono infisicati”.

“UNDICI: quelli che corrono a petto nudo per fare vedere come sono depilati”.

“DODICI: quelli che corrono a petto nudo per fare vedere come sono infisicati e come sono depilati”.

“E sono i peggiori” commenta Luca.

“TREDICI: quelli che d’inverno corrono con la pila da speleologi in testa” riprendo.

“QUATTORDICI: quelli che sulla mura ci vengono a fare i turisti con le bici dei B&B”.

“QUINDICI: quelli che ‘ma tu l’hai fatta la Maratona di New York?’”

“Quelli non li sopporto!” faccio io “non hanno ancora capito che 42 chilometri e 195 metri fatti a New York o a Vigarano sono la stessa fatica”. Ma riprendo subito il filo, rivangando ricordi ormai lontani: “SEDICI: quelli che vanno sulla mura perché hanno fatto fuoco”.

“DICIASSETTE: quelli che vanno sulla mura per esercitarsi a suonare la tromba”.

“DICIOTTO: quelli che corrono sempre con un fazzoletto in mano”.

“Eh già” commenta Luca “ma cosa se ne fanno di un fazzoletto mentre corrono?”.

“DICIANNOVE: quelli che corrono con le stampelle; e corrono!”

Incrociamo una ragazza mora, dal passo decisamente allegro a dispetto delle difficili condizioni climatiche.

“VENTI: quelli come la Marina Zanardi”.

“VENTUNO: quelli che portano i nipotini a spasso sulla mura con i passeggini”.

“VENTIDUE: quelli che corrono sulla punta dei piedi, perché gli hanno detto che il footing si fa così”.

“E sai che male ai polpacci, dopo” chiosa Luca.

“VENTITRE: quelli che poiché corrono si sono comprati il Garmin”.

“VENTIQUATTRO: quelli che poiché si sono comprati il Garmin corrono”.

“VENTICINQUE: quelli che ‘in questo periodo non sono in forma’ e poi vanno come un missile”.

“VENTISEI: quelli che corrono solo in gruppo e parlano di ristoranti”.

“VENTISETTE: quelli che corrono solo da soli e pensano al cronometro”.

“VENTOTTO: quelli che ogni volta che passano vicino all’alberone lo salutano”.

“Grazie del riferimento” fa Luca come per inciso, e prosegue: “VENTINOVE: quelle che corrono con la felpa legate attorno alla vita per coprire un po’ i fianchi troppo larghi”.

“TRENTA: quelli che vanno a spasso con il cane, e non sempre rispettano le normative comunali sui guinzagli” dico io, memore di certi scatti obbligati causati da quadrupedi fuori controllo.

“TRENTUNO: quelli che vanno a spasso con il cane, e rispettano sempre le normative comunali sulle deiezioni” ribatte Luca, da orgoglioso proprietario di Mr. Max, attempato ma splendido boxer.

“TRENTADUE: quelli che mentre corrono litigano parlando di politica”.

“TRENTATRE: quelli che vanno sulla mura con le racchette da neve, e non si capisce se hanno sbagliato attrezzo o luogo”.

“La Mascia con quelli va fuori di testa…” ricordo.

“TRENTAQUATTRO: quelli che li vedi da anni e ti salutano sempre”.

“TRENTACINQUE: quelli che li vedi da anni e non ti salutano mai”.

“TRENTASEI: quelli che ‘di correre non me ne frega niente, io vado sulla mura per marcare le ragazze’”.

“TRENTASETTE: quelli che hanno comprato le scarpe da Rudy Magagnoli, la calze da Rudy Magagnoli, i pantaloncini da Rudy Magagnoli, la canottiera da Rudy Magagnoli, le mutande da Rudy Magnagnoli…” “Forse perché vogliono che si sappia che sono amici di Rudy Magagnoli!” insinuo io.

“TRENTOTTO: quelli come Rudy Magagnoli”.

Dalla zona del sottomura in basso, vicino al curvone, si sente salire un suono ritmato di tamburi.

“TRENTANOVE: quelli che vanno sulla mura a fare le prove per il palio”.

“QUARANTA” dichiaro io “Proprio a proposito: quelli che si sono fermati almeno una volta a leggere la targa sgrammaticata dedicata a Arrigo Quaranta nella cassettina ‘Occhio all’occhio’ vicino alla farmacia”.

“QUARANTUNO: quelli che se perdi le chiavi sulla mura te le mettono nella cassettina ‘Occhio all’occhio’ vicino alla farmacia”.

“QUARANTADUE: quelli che hanno scritto la targa dedicata a Arrigo Quaranta nella cassettina ‘Occhio all’occhio’ vicino alla farmacia”.

“QUARANTATRE: quelli che sulla mura ci vanno per dormire, perché non hanno altro posto dove andare”.

“QUARANTAQUATTRO: quelli che corrono che sembra che se la siano fatta addosso”.

“QUARANTACINQUE: quelli che ‘corro perché me lo ha detto il dottore’ e parlano solo di malattie”.

“QUARANTASEI: quelli in bicicletta col casco e tutto, che ti superano velocissimo e ti fanno respirare un polverone”.

“QUARANTASETTE: quelli che se li superi si arrabbiano e ti ri-superano”.

“QUARANTOTTO: quelli che hanno un figlio disabile e ciononostante lo accompagnano a correre”.

Luca, che riesce sempre a sorprendermi, ribalta il concetto: “QUARANTANOVE: quelli che hanno una disabilità e ciononostante accompagnano a correre il padre”.

Incasso e per un po’ sto zitto; poi riparto:

“CINQUANTA: quelli che fanno strani esercizi di Tai Chi sulla collinetta sopra il curvone”.

“CINQUANTUNO: quelle che fanno le badanti e vanno sulla mura con i loro badati a passeggiare”.

“CINQUANTADUE: quelle che fanno le badanti e vanno sulla mura senza i loro badati a fare un pic-nic”.

Siamo arrivati alla fine di viale Belvedere, più o meno a metà della nostra fatica e del nostro elenco; ci fermiamo alla fontanella a bere un po’ d’acqua.

“Ce la faremo?” domanda Luca.

“A fare cosa?” replico io “a finire l’elenco o a finire il giro della mura?”.

“Entrambe le cose” risponde, ma si vede che anche a lui la doppia sfida di oggi piace molto.

“Ripartiamo!” lo incoraggio. La piccola sosta è stata provvidenziale, ma come sempre alla ripresa tornano a farsi sentire doloretti vari, ormai da tempo miei sgraditi compagni di corsa.

“CINQUANTATRE” riprendo “quelli che corrono anche se hanno male alla schiena, alle ginocchia, alle caviglie; insomma, hanno male!”.

“CINQUANTAQUATTRO: quelli che mentre corri ti vorrebbero fermare per chiederti un’informazione”.

“CINQUANTACINQUE: quelli che corrono durante la pausa pranzo”.

“CINQUANTASEI: quelli che si mettono su una panchina durante la pausa pranzo”.

“CINQUANTASETTE: quelle che sono magre, ma così magre che ho paura che si spezzino ad ogni passo”.

“CINQUANTOTTO: quelli che mentre corri ti si attaccano e ti chiedono ‘cosa stai preparando?’”.

“CINQUANTANOVE: quelli che accompagnano a correre un amico che non ci è mai andato”.

“SESSANTA: quelli che si domandano ‘ma cosa avranno da dirsi sempre quei due?’”.

Mentre ridiamo un po’ troppo autocompiaciuti attraversiamo la strada all’inizio di viale Cavour e un’auto che non avevamo visto deve frenare bruscamente per consentirci di passare; il conducente (di certo non un podista) ci indirizza una violenta suonata di clacson.

“SESSANTUNO: quelli che quando attraversi la strada alle Barriere ti stirerebbero con la macchina” commenta Luca senza scomporsi.

“SESSANTADUE: quelli come Nino Sarno, che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo”.

“SESSANTATRE: quelli anziani col Carlino in mano, che forse non leggono Estense.com”.

“SESSANTAQUATTRO: quelli giovani con l’Ipad in mano, che forse leggono Estense.com”.

“SESSANTACINQUE: quelli che sono della Corriferrara”.

“SESSANTASEI: quelli che non sono della Corriferrara”.

“SESSANTASETTE: quelli che vanno sulla mura perché è bello”.

“SESSANTOTTO: quelli che ti fanno i complimenti”.

“SESSANTANOVE: quelli che corrono perché vogliono smettere di fumare, e appena si fermano se ne accendono una”.

Stiamo intersecando tangenzialmente l’anello dell’acquedotto, schivando bimbi che giocano e passeggini e mi aggrappo a una facile associazione: “SETTANTA: quelle incinte che vanno sulla mura perché camminare fa bene al bambino”.

“SETTANTUNO: quelli che le prime volte che li vedevi pesavano 100 chili e adesso ne pesano 70”.

“SETTANTADUE: quelli che sono compresi nel presente elenco” dico io per non perdere un’occasione di citare Borges.

Forse per contrasto con il caldo attuale a Luca viene in mente l’inverno: “SETTANTATRE: quelli che ‘quando nevica io a correre non ci vado’ e non sanno cosa si perdono”.

“SETTANTAQUATTRO: quelli che passeggiano in tre affiancati e non ti fanno passare”.

“SETTANTACINQUE: quelli che partono correndo, ma dalla casa del boia in poi camminano”.

“SETTANTASEI: quelli che partono camminando”.

“SETTANTASETTE: quelli che ti dicono ‘ma chi te lo fa fare?’”.

“SETTANTOTTO: quelli che corrono sulle mura perché la palestra costa” propongo io mentre passiamo davanti alla palestra di rampari San Paolo.

“SETTANTANOVE: quelli che fanno lo sfalcio dell’erba sulla mura”.

“OTTANTA: quelli che guardano quelli che fanno lo sfalcio dell’erba sulla mura”.

“OTTANTUNO: quelli che corrono con le Superga (forse sono gli ultimi, ma ci sono ancora)”.

“OTTANTADUE: quelli che mentre corrono fanno esercizi con le braccia e ti danno una manata perché non ti vedono arrivare”.

Risaliamo i gradini che ci portano all’area del parcheggio di piazza Travaglio e l’ispirazione ci è offerta da due vigili in bicicletta:

“OTTANTATRE: quelli della Polizia Municipale che con la scusa di presidiare il territorio si fanno un giro in bici sulla mura”.

“OTTANTAQUATTRO: quelli che non corrono, ma affiancano orgogliosamente in bicicletta il papà che corre”.

“OTTANTACINQUE: quelle che non corrono, ma affiancano pazientemente in bicicletta il fidanzato che corre”.

“OTTANTASEI: quelli che ascoltano con la radiolina ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ (forse sono gli ultimi, ma ci sono ancora)”.

Sarà la fatica che oggi ha una qualità diversa, sarà che arrivare a cento non è facile, ma registriamo la prima empasse; ce ne tira fuori Luca, con senso dell’umorismo:

“OTTANTASETTE: quelli che mentre corrono gli scappa una scoreggia”.

“E’ vero! Dico io, piegandomi in due dal ridere; ma riprendo subito lo spunto: “OTTANTOTTO: quelli che fanno finta di non accorgersene, perché sanno che sono cose che succedono, e chi è senza peccato…”.

“OTTANTANOVE: quelli che fanno stretching spingendo il paracarro in fondo a via belvedere”.

“NOVANTA: quelli che corrono da cinquant’anni, e ti chiedi come fanno”.

“NOVANTUNO: quelli che corrono da un minuto, e ti chiedi come fanno”.

“NOVANTADUE: quelli che in realtà sono dei calciatori e gli fa schifo correre, ma glielo ha detto il mister”.

“NOVANTATRE: quelli supertecnici, che corrono con gli occhiali perché a quella velocità l’aria dà un po’ fastidio”.

“Beati loro” chioso, e subito rimando la palla: “NOVANTAQUATTRO: quelli che corrono con la stessa maglietta di cotone da vent’anni, e va benissimo così”.

“NOVANTACINQUE: quelli che sulla mura ci vanno a fare il servizio fotografico del matrimonio”.

La fortuna ci aiuta: all’inizio del parco del Montagnone ci si parano innanzi due personaggi armati di pennelli e cavalletto:

“NOVANTASEI: quelli vengono a dipingere, che forse sono studenti del Dossi”.

“NOVANTASETTE: quelli che corrono con la Lacoste blu, il colletto tirato su e i Ray Ban”.

Ne mancano solo tre, ma siamo bloccati. Rimaniamo in silenzio mentre San Giorgio è ormai alle nostre spalle e l’alberone si avvicina inesorabilmente.

“Possibile che non riusciamo a terminare l’elenco?” chiedo a Luca, che si però ha avuto una nuova intuizione:

“NOVANTOTTO” scandisce “quelli come Paolo”.

“NOVANTANOVE” scandisco toccando l’alberone “quelli come Luca”.

Il nostro allenamento è finito; ci salutiamo con un misto di soddisfazione per essere riusciti a completare l’anello delle mura nonostante le condizioni proibitive e di amarezza per avere solo sfiorato l’impresa di completare il nostro elenco.

Quando rientro a casa sono il ritratto della fatica; Mascia mi osserva con disapprovazione e commenta scuotendo la testa: “Certo che quelli che vanno a correre sulla mura con ‘sto caldo sono proprio matti!”.

“CENTO!” grido abbracciandola, mentre lei cerca di divincolarsi perché sono tutto sudato.

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