Politica
6 Settembre 2013
Sul nuovo Franceschini targato Renzi: "Sono stupito". Sul Pd: "Metta insieme l'operaio e l'imprenditore"

Veltroni, la democrazia diretta? “È dittatura”

di Ruggero Veronese | 5 min

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ImmagineTra l’endorsement a Matteo Renzi e una “tirata d’orecchie” a Dario Franceschini, Walter Veltroni fa tornare il pubblico e riscuote applausi alla festa Pd di Pontelagoscuro parlando soprattutto dei suoi “concetti politici”. La presentazione del suo libro “E se noi domani – l’Italia e la sinistra che vorrei”, offre l’occasione all’ex segretario del Pd, ormai lontano dalle competizioni elettorali più accese, di parlare quasi nelle vesti di “padre nobile” del partito: dai rischi della democrazia diretta e della “tirannia delle minoranze”, al sostegno alla rappresentanza parlamentare, fino ad arrivare, quando il discorso si sposta sul tema del lavoro, a una rivisitazione contemporanea della “lotta di classe”.

Pubblico e giornalisti sono però affamati di risposte che contengano almeno un nome noto: preferibilmente Berlusconi, Renzi, Letta o Franceschini. Ed è soprattutto verso quest’ultimo, recentemente diventato ‘renziano’, che Veltroni si espone in una critica morbida ma evidente. “Mi hanno chiesto se sono stupito del suo appoggio a Renzi e ho risposto di sì. In passato ha avuto posizioni diverse, ma la novità mi fa piacere perchè può significare un ritorno di Dario allo spirito originario del partito”. Quasi una tirata d’orecchie di Veltroni al suo successore alla segreteria del Pd nel 2009: evidentemente per l’ex sindaco di Roma l’attuale ministro se ne era discostato.

Riguardo al ‘nemico’ Berlusconi invece Veltroni si limita a consigliare al Pd di parlarne il meno possibile, anche se il suo giudizio verso l’atteggiamento del Pdl è netto. “I voti si conquistano non nel contrasto con gli altri – spiega l’ex segretario – ma col convincimento delle persone. Quando Berlinguer faceva le tribune elettorali trovava sempre il modo di citare tutti: operai, braccianti, tutti i lavoratori. Ho l’impressione che negli ultimi anni la sinistra italiana abbia parlato più di Berlusconi che dei disoccupati. La mia opinione è che chi ha giovato di questo schema di comunicazione ‘pro o contro Berlusconi’ sia proprio Berlusconi, che dopo la condanna definitiva è cresciuto di altri due punti nei sondaggi”. Un discorso, quello giudiziario, che porta dritto al nodo della crisi di governo paventata dal Pdl. “Solo in Italia può succedere che si parli di elezioni sette mesi dopo le elezioni. Ma se si farà, ed è una cosa di cui stiamo discutendo, è perchè il Pdl pretende che il Pd non voti la decadenza del loro leader, un diktat che trovo irresponsabile nei confronti del paese”.

Secondo Veltroni infatti la condizione dell’Italia “è ancora molto difficile, con situazioni strutturali drammatiche, ed è l’unico paese avanzato a non essere ancora uscito dalla recessione, anche se di questo al Pdl non importa nulla. Io credo che il governo debba continuare a lavorare e che qualche risultato l’ha già raggiunto, come la restituzione dei debiti alle imprese e alcuni interventi sugli ammortizzatori sociali, ma se ci deve essere una crisi di governo è importante fare prima una riforma elettorale, che ci consenta di ricreare un sistema politico normale, con una forza principale al governo e una all’opposizione”. Una visione bipolaristica da cui Veltroni esclude il Movimento 5 Stelle, sul quale poco più tardi darà un giudizio a due facce: da un lato l’apprezzamento per certi attivisti, dall’altro la condanna senza sconti a Beppe Grillo. “Non sono arrabbiato – afferma l’ex sindaco di Roma – con il Movimento 5 Stelle per non averci fatto vincere le elezioni, ma con noi, perchè il Movimento è stato votato anche da chi ci appoggiava nel 2008. Detto questo, la responsabilità politica di aver condotto il 5 Stelle in un vicolo cieco è sicuramente di Grillo”.

Un discorso basato soprattutto sul ruolo di “leader” del comico genovese, “in netto contrasto con i proclami a una democrazia diretta” che, secondo Veltroni, non potrà mai esistere in un sistema politico. Se per Berlusconi infatti vale la regola del parlarne il meno possibile, così non è per il guru pentastellato: “Non esiste un sistema di democrazia diretta che alla fine non sia autoritario – scandisce Veltroni -. Mi ha colpito il caso di Roma, dove Marino ha chiesto al Movimento 5 Stelle di entrare nell’amministrazione ed è stato fatto un sondaggio in rete in cui l’85% degli attivisti si dichiarava a favore. Poi Grillo ha messo il veto, e alla fine non sono entrati. Ma che razza di democrazia diretta è questa? L’utopia di questa idea, che non si è mai realizzata, alla fine genera una finzione per cui tutti credono di partecipare, ma alla fine non decidono nulla”. E anche la tecnologia secondo Veltroni non aiuterà a realizzare la democrazia diretta, dal momento che “internet deve essere accessibile a tutti, a tutte le generazioni, e che siano soddisfatte tutte le condizioni che altrimenti alterano la democrazia”.

foto (4)Altro concetto che sta modificando la vita politica è secondo Veltroni la “tirannia delle minoranze”. Dove le minoranze non sono i gruppi parlamentari, ma tutte le correnti di pensiero a cui il web dà voce e che i partiti – soprattutto il Pd – cercano di inseguire per racimolare voti. Ma per Veltroni l’autonomia della politica è fondamentale, anche a costo di ignorare determinate opinioni o zone di elettorato. “Dobbiamo trovare il modo di metabolizzare meglio le informazioni – afferma Veltroni. Durante l’elezione del Presidente della Repubblica la gente faceva le riunioni coi tablet, e quando arrivavano dieci tweet di un certo tipo si cambiava già opinione su tutto. La tecnologia comporta molte possibilità e molti rischi. Uno è l’emotivita: la compressione dell’argomento in spazi ridotti non sempre consente di spiegare i concetti”. E sul punto, dopo Berlinguer, Veltroni cita un altro statista del passato. Ben lontano però dal primo: “Pensate a come farebbe oggi Aldo Moro a comprimere un discorso in 140 battute, eppure con quei discorsi ha cambiato una parte di storia del paese. Forse arriverà consapevolezza che dobbiamo tenere spazio per la profondità, e la grandezza della politica deve stare nella sua autonomia: se diventa uno scendiletto piegato alle grida di minoranze più o meno consistenti, perde il suo senso e la sua funzione”.

Nel chiudere il lungo intervento a Pontelagoscuro, Veltroni fa una piccola critica ai sindacati sul tema dei rapporti con le aziende: “dobbiamo fare impresa per creare lavoro. Al di là delle ideologie tutti sanno che quando un’azienda chiude tutti perdono il posto, e noi dobbiamo essere il partito che mette insieme l’operaio e l’imprenditore, che oggi in Italia è un mestiere molto rischioso. Ma vorrei vedere delle aziende che fanno partecipare i lavoratori ai processi decisionali, la loro intelligenza e competenza non dev’essere lasciata fuori”.

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