L'inverno del nostro scontento
5 Agosto 2013

Comandante Trentini, preferirei di no

di Girolamo De Michele | 9 min

Spettabile signora Laura Trentini, comandante del Corpo di Polizia Municipale di Ferrara

Dopo aver letto la sua dichiarazione sui parcheggiatori abusivi, e il suo appello alla collaborazione dei cittadini, desidero spiegarle perché la Sua dichiarazione non mi ha convinto, e perché non raccoglierò il Suo invito alla collaborazione.

In primo luogo, vorrei dire due parole sul caso del signor Scalcerle, che ha trovato le gomme della sua auto danneggiate da un atto vandalico. Lei, o chi per Lei nella Polizia Municipale, ha svolto qualche indagine per accertare la veridicità del racconto di un reato che è stato denunciato alla stampa, ma non alle legittime autorità? Si è preoccupata di accertare se l’atto vandalico sia, come sostiene l’autore della lettera, realmente riconducibile a quei parcheggiatori abusivi che ore prima avevano chiesto qualche spicciolo di elemosina e che, sempre a suo dire, si erano dichiarati disponibili ad aiutarlo nel cambio delle gomme? Posto che la cosa sia davvero accaduta, ha elementi per affermare che i colpevoli non potrebbero essere invece alcuni di quegli studenti che pochi giorni dopo si è appreso (sempre attraverso una testimonianza, questa volta di un prelato settuagenario, fondata sul “così è perché lo dico io”) scorrazzare per il centro in stato alcolico, in attesa di consumare orge sui sagrati? O di qualche indigeno – ipotizzo per analogia con eventi accaduti nel mio condominio, e denunciati a chi di dovere – indispettito dal fatto che l’auto di un “foresto” gli impediva di parcheggiare nel posto desiderato?

Ciò premesso, vengo al nocciolo della questione: i cosiddetti “parcheggiatori abusivi”. Lei stessa riconosce che, a meno di non millantare «fittizie agevolazioni nel raggiungere uno stallo di sosta libero», il chiedere l’elemosina non costituisce reato. E davvero mi chiedo chi sia tanto ingenuo da credere che il ragazzo di colore che indica un posto libero sia il tenutario o l’amministratore di quel posto, al quale falsamente l’automobilista si sentirebbe in dovere di corrispondere una ricompensa. Nondimeno, Lei chiede collaborazione, e stigmatizza l’atteggiamento «particolarmente conciliante, riscontrato dagli agenti di polizia municipale, di uomini o donne che non solo offrono qualche moneta a queste persone, ma non temono da loro alcuna ripercussione ritenendoli, se non addirittura utili quantomeno gentili nell’approccio, tanto da salutarli e interloquire con loro come con ‘vecchie conoscenze’». Poiché io sono uno di quei cittadini, desidero spiegarle il perché del mio atteggiamento “conciliante” o, se permette, civile.
Alcuni di quei “parcheggiatori” li conoscevo bene, perché stazionavano nelle prime ore del mattino nel parcheggio Diamanti attiguo al mio luogo di lavoro, e scambiando qualche parola con loro, come si fa tra esseri appartenenti alla stessa umana comunità, ho appreso che nella divisione dei lavori che in ogni città si crea tra i migranti, i parcheggiatori a Ferrara sono in genere nigeriani.
Lei conosce la Nigeria, signora Trentini? Io ne conosco le condizioni di vita, di un’esistenza oppressa da una feroce dittatura di fatto, sin dai tempi delle fiaccolate in difesa di Ken Saro-Wiwa, uno dei maggiori poeti africani, impiccato nel 1995 per le sue battaglie in difesa dell’ambiente. Per far comprendere l’enormità del crimine perpetrato dal regime nigeriano: è come se a Ferrara avessero fucilato Giorgio Bassani per aver sostenuto Italia Nostra. In quell’esecuzione fu pesantemente implicata la Shell, il gigante petrolifero i cui profitti erano minacciati dalle battaglie di Ken Saro-Wiwa.
Lei dirà: ma i parcheggi di Ferrara che c’entrano? C’entrano, c’entrano: vedrà che ci arrivo.

La Nigeria dovrebbe essere un paese felice, ricco e benestante. Ha terra fertile e rigogliosa, un pescosissimo fiume tra i maggiori al mondo che la attraversa, e un mare di petrolio sotto i piedi.
E dunque, perché i nigeriani fuggono dal loro paese e migrano fin da noi (in minima parte da noi, peraltro)? Perché non restano a casa loro, o non se ne tornano nel loro paese?
Perché in realtà non hanno un pese in cui tornare. Molti di loro trovano i soldi per fuggire vendendosi tutto, dal momento che sanno di non poter più tornare.

Perché fuggono? Perché il loro mondo viene distrutto dal petrolio. Il petrolio che fuoriesce dalle tubature degli oleodotti e delle pipe-line uccide le acque e i pesci del fiume, penetra nelle falde acquifere e raggiunge i terreni, bruciando per sempre le radici di tutto ciò che cresceva. Oppure prende fuoco, provocando l’esplosione del tratto di tubature, e quindi l’incendio di interi villaggi lambiti o attraversati dalle condutture, che è più economico riparare quando sono definitivamente danneggiate piuttosto che manutenere giorno per giorno (come del resto succede anche nelle fabbriche del nostro civilissimo paese). Oppure muoiono intossicati dall’anidride carbonica sparata nell’atmosfera col procedimento del “gas flaring”. E quando gli abitanti protestano, arrivano i soldati, mandati da generali corrotti a ripristinare l’ordine (economico) con i mezzi più brutali: a volte basta chiedere di bonificare il tratto di fiume inquinato per essere considerati come terroristi. Noi siamo abituati a pensare che i migranti siano la fascia più povera della popolazione, e di rado ci viene in mente che molti di loro sono invece istruiti profughi politici ai quali neghiamo lo status di rifugiato, che pure gli spetterebbe.
Generali corrotti: da chi? Dalle multinazionali del petrolio, che li ricoprono d’oro per poter saccheggiare impunemente la ricchezza dell’intero paese, lasciando morire nella miseria o nelle galere la popolazione.

Ecco perché fuggono. E nel fuggire, finiscono a volte per cadere nelle mani della locale malavita organizzata, che li costringe a delinquere. O ad arrabattarsi “in proprio” in modo non sempre legale: una minima minoranza (sono certo che almeno Lei conosce le vere cifre della devianza dei migranti, quelle che si trovano nei rapporti delle forze dell’ordine o nei bilanci riassuntivi del ministero dell’Interno, e non su fogli buoni per incartare le alici, e forse neanche): ma, per razzismo o per ignoranza, o per disinformazione, sta di fatto che agli occhi di certa gente basta vederne uno per inquadrarne cento. La maggior parte di loro, peraltro, lavora, in orari che noi non ci sogneremmo neanche: e infatti non li incontriamo in quella che per noi è l’ora della colazione (io ne incontravo, una volta: ma quando per lavorare ero fuori casa un’ora prima del sorgere del sole), e finiamo col dire che non ne abbiamo mai visto uno lavorare regolarmente.

Però, me lo lasci dire, anche nel loro delinquere non riescono a sfuggire alla miseria e alla minorità. Avessero grandi mezzi e conoscenze importanti, potrebbero delinquere in grande: chessò, fondare una banca e spacciare fondi pensione o titoli azionati taroccati, e derubare centinaia di migliaia di cittadini di tutti i loro depositi; aprire una fabbrica, uccidere di amianto, diossina o CVM operai e cittadini, e farla franca; costruire faraonici palazzi pieni di specchi, e promettere una pensione sicura a centinaia di cittadini che si ritroveranno poi col culo per terra; fondare un’azienda di moda, di quelle che fa figo mostrare la griffe, e far cucire i vestiti dai migranti nei capannoni clandestini; essere amici di qualche famoso politico campano (starà alla magistratura accertare se quell’amicizia costituiva reato o no), ed essere non i miseri spacciatori in bicicletta di qualche dose di droga, ma gli importatori di tonnellate di polvere, e grandi elettori di quei politici che fanno la fila per essere loro amici; essere amici, e anche di più, di qualche famoso costruttore tipo Ligresti, come quel ministro che in televisione diceva ridendo che centinaia di rifugiati respinti senza esaminare la loro condizione di profughi “li abbiamo rimandati da dove erano venuti” – profughi di cui non s’è trovata traccia nelle galere tunisine e libiche quando sono caduti i dittatori cui si opponevano, e ai quali li abbiamo riconsegnati.
E invece no: eccoli a chiedere l’elemosina nei parcheggi. Chiedi un euro e rischi l’arresto, mandi al macello centinaia di esseri umani e ti fanno ministro o dirigente di partito…

Ma di nuovo Lei dirà: ma io che c’entro?
Beh, Lei niente. L’Agip, che è in Nigeria, e si comporta esattamente come le altre compagnie petrolifere, si.
E Agip vuol dire Eni, e dunque Italia.
Pensi al paradosso: “noi italiani” gli rubiamo il petrolio dalla terra, e gli distruggiamo la terra sotto la quale c’è il petrolio. Quel petrolio diventa benzina nelle nostre macchine, per le quali abbiamo bisogno di parcheggiare. E al parcheggio troviamo il nigeriano al quale abbiamo rubato il passato e il presente, che per avere un futuro ci chiede un euro di elemosina.
E ci sentiamo infastiditi dalla sua richiesta.

Ma, Lei dirà, e diranno quelli che leggono: io che c’entro? Nessuno di noi ha deciso tutto questo. Forse non sapevamo neanche che tutto questo accadesse. E in ogni caso, che ci possiamo fare?
Ciascuno di noi ha i suoi piccoli doveri: Lei è un vigile, e dunque vigila, non è certo in grado di mutare le sorti della Nigeria o del mondo. Se lo ricorda, quel musicante che inaugurò l’immoralità degli anni Ottanta cantando che «non è colpa mia se esistono i carnefici, se le panchine sono piene di gente che sta male»?
Come nella Germania durante il nazismo: il casellante faceva funzionare il passaggio a livello della ferrovia verso Auschwitz, il parroco consegnava alle SS gli elenchi dei battezzati per individuare i non battezzati, l’ingegnere progettava i forni crematori per bruciare tot esseri umani senza fondere, il falegname costruiva le baracche, il soldato obbediva agli ordini – ma i 6 milioni di ebrei, e i 5 milioni di non ebrei, esattamente chi li ha uccisi? Si possono uccidere 11 milioni di persone in tre anni senza che quasi nessuno si senta responsabile? Purtroppo si.
Il punto è che le grandi colpe, proprio perché in qualche modo sono di tutti, non sono mai di nessuno. Noi facciamo il pieno, mica ordiniamo di impiccare gli abitanti dei villaggi sul Niger. Magari abbiamo un macchinone che consuma il doppio, ma sarà un legittimo desiderio quello di sublimare l’invidia del pene (non importa di chi) con un sostituto simbolico – un Suv, un Hummer, una Land Rover? Non è che ogni condizionatore mandato a palla, magari con la porta del negozio aperta, uccide un africano sul delta del Niger. Non sarà certo colpa del nostro stile di vita se il terzo mondo è pieno di gente che sta male… o no?

In fondo nessuno ha, o sembra avere, il potere di decidere cosa deve o non deve fare l’Agip: pretendere, magari col tonfa in pugno, il rispetto dei diritti e dell’ambiente in Nigeria e altrove sarebbe turbativa del libero mercato, o qualcosa del genere. Le risulta un solo partito che della questione Agip-Eni-Nigeria abbia fatto argomento di promessa elettorale? No, né i vecchi né, men che meno, il pentastellato “nuovo che avanza”, che prima ancora di avanzare già parlava di “invasione”.
Però chi glielo spiega al nigeriano cui è stato bruciato il villaggio dal petrolio, la cui famiglia è stata sterminata in una guerra tra etnie scatenata dalle compagnie petrolifere, che è fuggito per non essere impiccato dai generali corrotti con i soldi del petrolio, che tutte queste cose sono meno importanti del fastidio che noi proviamo quando ci chiedono l’elemosina?
Vuole provare a spiegarglielo Lei?
Io, in tutta franchezza, non solo non ne sarei capace, ma considererei un’offesa all’intelligenza mia, prima ancora che altrui, provarci.
E quindi continuerò a denunciare i prepotenti dai quali dovessi sentirmi offeso, non importa se ferraresi, italiani, africani o quant’altro. Ma quando mi verrà chiesta una moneta, dal momento che non si tratta di reato, se sarò in condizione di darla (sono insegnante, e il salario è quello che è) continuerò a darla. Continuando a comportarmi con gentilezza, come fossero vecchie conoscenze (sono esseri umani, dunque vecchie conoscenze lo sono), salutandoli e interloquendo con loro, che forse hanno qualcosa da insegnarmi.

Per cui la mia risposta alla Sua richiesta di collaborazione è: preferirei di no.

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