L'inverno del nostro scontento
18 Marzo 2013

Il potere del povero

di Girolamo De Michele | 6 min

Questo secondo post è dedicato a parole altrui, e di una certa rilevanza: le hanno pronunciate Laura Boldrini, nel discorso di insediamento alla presidenza della Camera, e papa Francesco, nell’incontro con la stampa. Prevedendo possibili commenti, mi corre l’obbligo di avvertirvi che non sono elettore né del partito né dello schieramento che ha candidato Laura Boldrini (ma ho stima per la persona), né condivido la fede religiosa del papa (però leggo i Vangeli): in ambedue i casi, osservo queste due novità (che peraltro conoscevo prima della loro quasi contemporanea elezione) con un certo distacco.

Che cosa accomuna i due discorsi? In primo luogo, la concretezza e la rilevanza delle cose che le loro parole nominano: sono l’antitesi, il farmaco alla peste del linguaggio di cui parlavano Calvino e Marías. Inutile negare che sia Boldrini che papa Francesco parlano della crisi globale: ma ambedue lo fanno a partire dagli esiti visibili e innegabili della crisi, com’è loro dovere indicare. Ma soprattutto (ed è il motivo per cui dedico loro questo spazio), perché ambedue indicano i criteri con i quali dovrà essere giudicato il loro operato, quando il loro mandato terminerà: se ci saranno meno povertà, meno violenza sugli ultimi, se la politica e la chiesa saranno riusciti a dare il proprio contributo alla creazione di un mondo più giusto – a un migliore rapporto col creato, per dirla con papa Francesco – allora il loro operato potrà essere giudicato positivo. E se uniamo i tratti che il papa attribuisce a Francesco d’Assisi – pace, povertà, cura del creato, in opposizione a guerra, ricchezza, devastazione dell’ambiente – e le concrete figure nominate da Laura Boldrini – la sofferenza sociale, la precarietà, le donne, le vittime a diverso titolo della crisi, i disabili, gli abitanti delle periferie geografiche del mondo e di quelle anagrafiche della vita, i combattenti e i caduti per la libertà – comprendiamo che “povertà” può non essere sinonimo di miseria o pauperismo, ma indicare l’essere portatore di un grande potenziale: il potere, che una volta si sarebbe detto “rivoluzionario”, di realizzare un mondo più giusto e più degno.

Usate in questo modo le parole diventano concrete e pesano come pietre, com’è giusto che sia. Così come pesano come pietre i comportamenti suscitati da queste parole: ad esempio, l’applauso quasi unanime che ha accompagnato alla Camera la denuncia della violenza sulle donne, anche e soprattutto da parte di chi Boldrini non l’aveva votata. Ma anche, all’opposto, quei deputati maschi della destra che sono rimasti seduti mentre anche le loro colleghe applaudivano questo passaggio. Alcuni di loro sono gli stessi che avevano votato la proclamazione di Karima El Mahroug “Ruby” come nipote di Mubarak: per loro la donna – una delle incarnazioni della figura del povero – non è soggetto di diritto la cui dignità dev’essere inviolabile, ma oggetto da fornire agli (cito) “utilizzatori finali”.

 

Il discorso di Laura Boldrini (il testo integrale potete leggerlo cliccando: qui)

Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi in Italia come in molte periferie del mondo. È un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.

Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Dovremmo impegnarci tutti a restituire piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno.

Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione cha ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.

Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.

Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.

Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.

Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.

Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.

Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile.

In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.

Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.

 

Il discorso di papa Francesco (potete vedere il video cliccando: qui)

Nell’elezione avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di São Paulo, e anche prefetto emerito della congregazione per il clero, il cardinale Claudio Hummes, un grande amico; quando quando la cosa diveniva un po’ pericolosa lui mi confortava. E quando i voti sono saliti ai 2/3 e viene l’applauso come di consueto, perché è stato eletto il papa, e lui mi abbracciò, mi baciò e mi ha detto «non ti dimenticare dei poveri». E quella parola è entrata qui [si tocca la fronte col dito]: i poveri, i poveri. Poi subito in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’Assisi. Poi ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva fino alla fine: e Francesco è l’uomo della pace. E così è venuto il nome nel mio cuore: Francesco d’Assisi, l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato – in questo momento noi abbiamo col creato una relazione non tanto buona; l’uomo che ci dà questo spirito di pace, l’uomo povero. Ah, come vorrei una chiesa povera e per i poveri!

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