Cronaca
5 Marzo 2013
Il sindacato lamenta anche le citazioni delle motivazioni delle sentenze

Aldrovandi. Il Coisp denuncia Estense.com all’Ordine

di Marco Zavagli | 3 min

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(© Estense.com)

(© Estense.com)

“Egregio Dr. Iacopino, desidero porre alla sua attenzione l’articolo dal titolo “La “nuova versione” del caso Aldrovandi” pubblicato il giorno 3 marzo nella sezione Cronaca Primo Piano del quotidiano on-line Estense.com”. È la segnalazione fatta dal segretario generale del Coisp Franco Maccari all’ordine nazionale dei giornalisti. Nella lettera a Enzo Iacopino il rappresentante nazionale del Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle Forze di Polizia critica l’editoriale con cui Estense.com stigmatizzava il contenuto del volantino della segreteria provinciale.
Nella sua lettera il Coisp, che – va detto – non rappresenta l’intera Polizia di Stato, lamenta “mancanza di deontologia professionale”, “correttezza dell’informazione”, “faziosità capziosa”, insomma un comportamento che deve essere “pesantemente censurato”.
Tra gli elementi degni di censura, secondo il segretario generale (nello spazio destinato alle lettere ne pubblichiamo il contenuto integrale), c’è in primo luogo la foto di Federico morto. Maccari mostra di ignorare che quell’immagine straziante venne pubblicata la prima volta nel gennaio del 2006, quando ancora la versione ufficiale voleva il diciottenne morto prima per overdose e poi per un malore. La madre, Patrizia Moretti, la persona immaginiamo più sensibile di chiunque altro a quella foto, scelse di pubblicarla per cercare di squarciare il velo dell’oblio che temeva calasse sulla vicenda. Non poteva sopportare che suo figlio fosse morto da solo, trovato su una panchina, per colpa di droghe. Quella foto smentiva tutto quello che le era stato detto. Dopo sette anni, dopo una sentenza passata in giudicato, dopo altri processi per i depistaggi (non ancora conclusi), c’è ancora qualcuno come il Coisp che sostiene che i quattro colpevoli “sono stati condannati e da oltre 7 anni scontano la pena di essere dei poliziotti che una notte hanno incontrato un giovane “drogofilo” (per usare le parole emerse in giudizio), lasciato solo dai suoi amici dopo una serata “brava”, in preda ad una grave crisi di rabbia isterica e per cui si rendeva necessario il contenimento fisico. Nessuno dei quattro poliziotti ha mai voluto uccidere, né ha mai neppure minimamente pensato di infierire su una persona inerme, né, tantomeno, ha dovuto entrare in contatto con lui perché in quel momento non aveva nulla da fare”.
Come definisce Franco Maccari percuotere fino a rompere due manganelli una persona ormai immobilizzata a terra, prona, ammanettata dietro la schiena, nonostante implori aiuto? Anche noi crediamo che quattro poliziotti dal curriculum di servizio immacolato fino a quel momento non siano andati una notte in via Ippodromo per uccidere qualcuno. Ma è altrettanto vero che se loro non fossero intervenuti Federico oggi sarebbe vivo. Hanno sbagliato e devono risponderne.
Non critichiamo nemmeno le iniziative di solidarietà come quella del camper, se si limitano a prendere le distanze dalla decisione del tribunale di sorveglianza in merito alla carcerazione per delitto colposo (fatto eccezionale, come abbiamo scritto a più riprese, che non avveniva – a detta di un legale della difesa – da circa trent’anni). E infatti entro questo recinto di tolleranza la nostra cronaca ha riportato la notizia nuda e cruda.
Ma, per sfortuna di Maccari, la segreteria provinciale è andata oltre. E, se ancora non l’ha fatto, gli basterà leggere quel volantino. Che molto si discosta dai contenuti più sobri della segreteria nazionale. Una contraddizione di cui non ci pare si sia accorto.
Ma il capolavoro di contraddizione deve ancora arrivare. Tra i nostri artifici utilizzati per alterare il significato dell’iniziativa sindacale c’è anche il “continuo riferimento nel testo a frasi contenute in diversi gradi di sentenza”, che contribuisce, “evidentemente, a dimostrare una verità diversa da quella emersa con la condanna dei quattro poliziotti e soprattutto nascondere il vero motivo dell’iniziativa del Coisp, richiamata in modo parziale ed inesatto”. Francamente è la prima volta che leggiamo di come citare sentenze di tribunali possa contribuire a stravolgere la verità. Il Coisp c’è riuscito.

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