Eventi e cultura
26 Novembre 2022
Lo spettacolo di e con Moni Ovadia festeggia i suoi trent’anni al Teatro Comunale di Ferrara

Oylem Goylem, canti e sorrisi da un mondo che non c’è più

di Redazione | 3 min

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(foto di L.d’Agostino)

di Federica Pezzoli

Moni Ovadia ha scelto la stagione di prosa del Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, di cui è direttore da un paio di anni, per festeggiare i trent’anni del suo spettacolo cult “Oylem Goylem”, in scena fino al 27 novembre.

Un ‘yiddish cabaret’ tra racconto e musica dal vivo, per dipingere con la stessa sognante malinconia di un quadro di Chagall il mondo degli shtetlach (o shtetlekh) ebraici dell’Europa orientale. Un mondo che ha dovuto fare dell’esilio la sua condizione esistenziale, nell’impero zarista o nella goldeneh medineh, la nuova terra promessa degli emigrati ebrei polacchi, ucraini e russi, l’America. La Yiddishland, come spiega Ovadia, “non è un paese che sta nelle carte” è “una terra senza confini e senza fronti” e allora la puoi raccontare solo attraverso la sua lingua, la sua musica, i suoi canti, ma anche le storielle, gli aneddoti e le citazioni più o meno colte, che rievocano quel pullulare di umanità che la Shoah ha spazzato via quasi del tutto in Europa.

“L’immaginario diasporico – scrive Ovadia – costituito da una miscela di immaginario vero e proprio e da un residuo di realtà resiste attraverso generazioni, alimenta e si compiace del sentimento della precarietà e di una qualche “eteroesistenza”. So che i miei ascendenti hanno attraversato paesi, nazioni e perfino imperi e le tracce di questi passaggi erano ancora ben visibili nei miei genitori […] Con una sorta di coazione a ripetere “postuma” mi sento pulsionalmente attratto a frequentare le lingue del vagabondaggio reale e anche attraverso ogni possibile pastiche linguistico a sognare di costruire vagabondaggi immaginari”.

In una scenografia essenziale con un palco e sedie da osteria, fra bauli, valigie e corde dal valore evocativo, accompagnato da una straordinaria e trascinante orchestra klezmer – la Stage Orchestra formata da Maurizio Dehò al violino, Giovanna Famulari al violoncello, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Mihai alla fisarmonica e Marian Serban al cymbalon – Ovadia racconta con voce appassionata, profonda, melanconica e struggente l’ebreo errante, eternamente esule, povero e affamato e ridà vita a tutta una galleria di personaggi che, come nella migliore tradizione del witz ebraico, si fa beffa degli stereotipi e dei pregiudizi antisemiti, e così facendo li disarma con una risata.

Dalla leggendaria dimestichezza degli ebrei con il denaro e gli affari, alla loro non comune intelligenza, fino alla categoria ‘antropologica’ della yiddishe mame e a quel bacino inesauribile di aneddoti e paradossi rappresentato dai rabbini ortodossi. Il sorriso, più che la sguaiata risata, che sottace la capacità di guardarsi allo specchio e di sorridere dei propri limiti, difetti e della propria condizione di discriminazione e alterità, diventa un salvagente in un mare in burrasca, mentre si attraversa l’Atlantico in cerca di una nuova vita dopo essere sopravvissuti all’ennesimo pogrom.

Lo humour diventa lo strumento della continua riaffermazione della propria libertà, della vita sulla violenza e sulla morte. E allora proviamo a prenderci meno sul serio, a riconoscere i nostri difetti e a ribaltarli, impariamo a sorridere di più per vivere meglio in questo oylem goylem, questo mondo sciocco.

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