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3 Novembre 2022
Dietro un fenomeno come quello delle Grandi Dimissioni c’è più del dato economico, ma il primo effetto tangibile di un cambiamento di mentalità che parte proprio dai giovani

I giovani non vogliono più lavorare: le Grandi Dimissioni e la Yolo

di Redazione | 3 min

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di Edoardo Righini

Partita con la pandemia e poi ripresa nei mesi successivi sia dai giornali che ora sui social, l’ondata delle cosiddette “Grandi dimissioni” (The Great Resignation in inglese) è qualcosa di più grande di qualche giovane, magari svogliato o choosy che lascia i ristoratori senza camerieri.

Innanzitutto è un fenomeno globale, che interessa sostanzialmente tutto il mondo occidentale, in modo diverso nella statistica, ma in modo uguale nella sostanza.

Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, anche Italia. E l’elenco potrebbe continuare.

Il popolo dei dimissionari, che ha cominciato a manifestarsi già nel 2020, conta diverse milioni di persone, che forma una sorta di “movimento” silenzioso, disorganizzato e spontaneo che richiama altri fenomeni ugualmente non pianificati dall’altra parte del mondo (si pensi alla protesta “tangping” dei lavoratori cinesi del settore del tech).

In secondo luogo, il fenomeno è rilevante perché trasversale.

Basti pensare che secondo quanto riporta l’Associazione Italiana Direzione Personale la Great Resignation dei lavoratori più giovani ha interessato circa il 60% delle aziende.

I settori più “colpiti” dal fenomeno sono quello informatico, della produzione, del marketing e il settore commerciale.

Infine, le Grandi Dimissioni sono da studiare per via delle motivazioni che le provocano.

Al netto delle solite ragioni, piuttosto prevedibili – cercare benefici economici, dare un’accelerazione alla propria carriera, avere maggiori opportunità di crescita – ce ne sono altre che raccontano di un mondo del lavoro che sta cambiando.

Secondo uno studio di dell’IBM Institute for Business Value (IBV) ad essere diventato prioritario per tutti coloro che cambiano o cercano un lavoro è un buon equilibrio tra lavoro e vita privata, il che si traduce in un impiego che permetta alle persone di tutelare la propria saluta mentale e fisica.

Ecco perché molti giovani cercano sempre più impieghi che garantiscano flessibilità o che comunque forniscano le condizioni essenziali per non dover rinunciare alle proprie passioni.

E il punto sta proprio qui.

Soprattutto la parte più giovane della società rifiuta l’idea di dover vivere per lavorare, preferendo una visione secondo cui la vita è una sola e che, di conseguenza, deve essere usata per fare qualcosa di valore.

Tutto questo si sintetizza in un neologismo, YOLO, che significa appunto You Only Live Once (Vivi una volta sola) e che rappresenta un fenomeno sociale che sta cambiando radicalmente l’approccio e le scelte delle nuove generazioni.

Pertanto, se il lavoro è una parte importante della vita, non può essere l’unica e soprattutto deve essere fonte non solo di reddito ma anche di benessere in senso più ampio. E se non lo è, tanto vale lasciarlo per trovare qualcosa di meglio, che faccia sentire più realizzati.

È chiaro che potenzialmente ci si trova davanti a un nuovo paradigma sociale oltre che a una notevole sfida per tutti i comparti produttivi che devono tener conto di queste nuove necessità per attirare e trattenere i nuovi e migliori talenti.

Non basterà più solo la prospettiva economica, il lavoro dovrà diventare davvero quello che ci si ripete da sempre, ovvero un’attività che nobilita l’uomo.

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