Scienza e tecnologia
2 Ottobre 2022
Come lo smartworking sta cambiando la geografia del lavoro

Lavorare altrove

di Redazione | 3 min

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di Edoardo Righini

Tra i tanti lasciti di questa epoca strana e turbolenta, uno dei più notevoli è senza dubbio lo smartworking, ovvero il lavoro a distanza.

Prima per motivi di sicurezza, poi per motivi di opportunità, molte aziende hanno spinto i propri dipendenti a restare a casa per lavorare, riducendo al minimo il periodo di presenza obbligatoria in sede.

L’impatto di questo improvviso cambio di organizzazione è stato formidabile sulla vita di ciascuno e non solo.

Nel giro di poco tempo, infatti, si stanno ridisegnando le geografie del lavoro e, forse, in senso più radicale, l’idea stessa di lavoro.

Del resto, è propria di questa epoca una figura interessante e singolare, il nomade digitale, che è una persona che armato solo di computer, connessione wi-fi e cuffie, lavora girando il mondo.

Ovviamente non tutti i lavori si prestano, ma nonostante questo, il numero di persone che sceglie questa vita, anche per un periodo di tempo limitato, è in continuo aumento. Lo dimostrano le attività che sono nate in questi anni per venire incontro a questi lavoratori senza fissa scrivania.

In questo senso, la Spagna ne è un fulgido esempio, dal momento che in diversi luoghi del Paese (da Barcellona a Gran Canaria) si sono letteralmente moltiplicati gli spazi di coworking, cioè luoghi di condivisione, in cui chi vuole può affittare una scrivania e tutto il necessario per lavorare.

Dunque cambiando il modo di lavorare si è creato lavoro. E questo non è passato inosservato da alcuni stati che stanno provando a sfruttare questa situazione, offrendo condizioni di vita molto vantaggiose. Caso eclatante quello della Grecia, che ha introdotto un regime fiscale agevolato per chi trasferisce la propria residenza fiscale nel paese secondo il quale il lavoratore paga le tasse solo sul 50% del reddito prodotto nello Stato. O anche quello della Croazia che ha introdotto un apposito permesso di soggiorno della durata di un anno, il cosiddetto “visto nomade digitale”, rivolto ai lavoratori extra Ue che lavorano nell’ambito della “tecnologia della comunicazione”, che permette la totale esenzione se non si lavora per imprese locali e se si guadagna più di 2000 euro al mese. Alla lista si aggiungo poi anche la già citata Spagna, l’Estonia, il Qatar e tanti altri Paesi, europei e non.

Da questo punto di vista, dunque, l’opportunità di non lavorare alla scrivania può diventare l’occasione per creare un nuovo tipo di indotto e immaginare rapporti di lavoro che si sviluppano, indipendentemente da dove si trovi la sede effettiva.

Se da un lato la prospettiva è invitante, dall’altro il timore è che questo comporti di fatto del dumping sociale, spingendo gli Stati a “combattere” tra di loro a suon di agevolazioni fiscali: prospettiva non proprio felicissima, perché in astratto può portare a un notevole impoverimento economico e sociale di alcuni Paesi (specialmente quelli più avanzati). 

Come sempre il tema è complesso ed è probabile che le istituzioni dovranno trovare un bilanciamento. Ciò che è certo, invece, è che ormai il dado è tratto e difficilmente si potrà tornare indietro.

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