Attualità
3 Dicembre 2020
Uno studio dell'Università di Ferrara potrebbe aprire la strada a nuove e più efficaci terapie farmacologiche contro l'adenocarcinoma

Un interruttore per ‘spegnere’ il tumore ai polmoni

Tumore ai polmoni - docenti UniFe
di Redazione | 3 min

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Tumore ai polmoni - docenti UniFe

Da sinistra, il professor Alessandro Rimessi e il professor Paolo Pinton, nel Signal Transduction Lab

Uno studio firmato dai ricercatori UniFe potrebbe aprire la strada a nuove e più efficaci terapie farmacologiche per curare il tumore ai polmoni, che ogni anno miete 35mila vittime in Italia: a cinque anni dalla diagnosi solo il 16% delle persone che si ammalano riesce a sopravvivere.

Una nuova speranza arriva dallo studio recentemente pubblicato sulla rivista Nature Cell Biology e firmato dai professori Alessandro Rimessi e Paolo Pinton del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Ferrara, insieme alla professoressa Georgia Konstantinidou dell’Università di Berna, in Svizzera.

Il gruppo ha individuato un nuovo possibile bersaglio farmacologico utile a contrastare l’adenocarcinoma, una delle forme più aggressive e più diffuse di tumore al polmone.

“L’adenocarcinoma rappresenta il 60% dei tumori al polmone. Si tratta di una forma che viene diagnosticata tardivamente, quando il tumore è in stadio avanzato e ha invaso altri tessuti, e per questo con probabilità di sopravvivenza molto basse. Ad aggravare la situazione si aggiunge l’assenza di terapie farmacologiche con effetti benefici persistenti”, spiega Pinton.

Per aumentare la probabilità di sopravvivenza, le ricercatrici e i ricercatori stanno cercando di far luce sui meccanismi che conferiscono all’adenocarcinoma la capacità di crescere anche in carenza di ossigeno e nutrienti. Stanno cercando, cioè, di capire perché questo tumore sia particolarmente aggressivo e resistente alle terapie.

“Il nostro studio descrive lo ‘stratagemma’ molecolare adottato dall’adenocarcinoma per crescere anche in condizioni estreme – afferma Rimessi -. In sintesi, per sopravvivere e proliferare nonostante le condizioni di stress indotte dalle terapie e dai normali meccanismi di difesa dell’organismo, queste cellule tumorali variano il proprio metabolismo. Ma come riescono a indurre questo cambiamento? Abbiamo visto che le cellule di cancro spengono quella sorta di ‘interruttore molecolare’ che è la proteina fosfolipasi C isoforma gamma. Questo spegnimento riduce l’ingresso di ioni calcio nei mitocondri, gli organelli cellulari che presiedono appunto al metabolismo della cellula”.

Il decorso clinico risulta più grave laddove questo “interruttore”, la proteina fosfolipasi C isoforma gamma, manchi del tutto, rivela lo studio.

Quando si reintroduce la proteina nelle cellule tumorali, invece, si ripristina un adeguato flusso di ioni calcio ai mitocondri, fondamentale per sensibilizzare le cellule tumorali alla morte e quindi per bloccarne la proliferazione.

Paolo Pinton si occupa da molti anni dello studio dei mitocondri e del segnale calcio in differenti contesti patologici: “Ci accorgiamo sempre più che i mitocondri e il segnale calcio sono alterati nelle malattie, e il loro malfunzionamento ha un ruolo critico nello sviluppo e mantenimento della malattia. I mitocondri possono diventare bersaglio per nuovi approcci farmacologici per importanti ricadute in ambito clinico”.

“Questo studio è una proficua collaborazione con la mia collega e amica Georgia Konstantinidou, conosciuta a Dallas presso il Simmons Cancer Center durante il mio periodo all’estero”, specifica il professor Rimessi.

E, a proposito delle collaborazioni internazionali, Pinton aggiunge: “Questa collaborazione rinforza in noi la convinzione che il nostro laboratorio venga visto come riferimento anche all’estero per questo tipo di ricerche. Inoltre, ci riempie di orgoglio vedere una nostra allieva, Chiara Pozzato, formatasi nel mio laboratorio, ora membro attivo del team di ricerca operante in Svizzera, a dimostrazione di come un buon percorso di formazione offra opportunità non solo in Italia ma anche all’estero”.

Pinton conclude ribadendo quanto sia fondamentale il ruolo della ricerca di base per disegnare e sviluppare nuove idee terapeutiche: “Nuovi approcci che servono a migliorare la prognosi dei pazienti, per fornire loro una migliore qualità di vita e maggiore probabilità di sopravvivenza”.

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