Spal
28 Settembre 2020
Daniele Vecchi ripercorre tutta la storia, dall'ippodromo agli stadi. Lino Aldrovandi: "Libro che punta il dito su un sistema che troppo spesso è il primo a delinquere"

“Federico Ovunque” e il racconto di Aldro come “simbolo di amore e giustizia”

di Redazione | 4 min

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da sinistra: Aldrovandi, Zavagli e Vecchi

di Davide Soattin

Dai ragazzi del direttivo Curva Ovest Ferrara a quelli della Fossa dei Leoni della Fortitudo Bologna, passando per famiglie e amici, fino a semplici lettori e appassionati, nella prima serata di sabato, presso il Blackstar di via Ravenna, una folta platea si è data appuntamento per tenere vivo il ricordo di Federico Aldrovandi, a 15 anni dalla sua uccisione.

Insieme a Marco Zavagli, direttore di Estense.com nelle vesti di moderatore dell’evento, l’autore Daniele Vecchi ha presentato il suo nuovo e ultimo libro “Federico Ovunque”, che in 144 pagine si pone come obiettivo principale quello di fare chiarezza su “la storia mai raccontata di una battaglia per la giustizia, la memoria e la verità” che muove i primi passi dal “sangue sul selciato” di quella maledetta mattina in via Ippodromo fino agli “striscioni rimossi dagli stadi” negli ultimi anni.

Un’ultima fatica letteraria, quella del giornalista e scrittore ferrarese, sulla cui copertina sventola immancabilmente orgogliosa e fiera la bandiera divenuta vero e proprio simbolo del tifo organizzato degli estensi, vale a dire quella che raffigura l’effige del volto di Federico, quasi volesse ancora a raccontare qualcosa, come ha sottolineato con emozione papà Lino Aldrovandi, anche lui sul palco.

“Quel pezzo di stoffa non è mai stato un pericolo o un oltraggio per nessuno. Non è nemmeno mai stato fuorilegge, non ha mai fatto nulla di male e nemmeno ha mai avuto simboli. Nonostante ciò – ha raccontato il padre di Aldro -, sembrava desse fastidio a molti, come fosse qualcosa di terribile da guardare e nascondere. Ma l’aver ricomposto il suo viso con quell’espressione severa, viva e decisa su quel drappo altro non ha che lo scopo unico di essere da monito alle coscienze di chi quella mattina perse il lume della ragione e del servizio a cui era preposto”.

“Quello di Daniele – ha continuato Lino nella propria analisi, sfogliando idealmente passo dopo passo le pagine – è un libro preciso e puntiglioso, che punta il dito su un sistema che troppo spesso è il primo a delinquere. Basti pensare al caso di Stefano Cucchi. Il libro narra della storia di Federico e del modo in cui è stato preso delicatamente per mano anche dal mondo ultras, oltre che del coinvolgimento da quel lontano settembre 2005 dei ragazzi della Curva Ovest allo stadio Mazza, quando da lì cominciarono i canti per richiedere verità e giustizia. Una richiesta che con il passare del tempo riuscì ad avere un effetto domino soprattutto nel resto del mondo ultras della nostra Italia, arrivando ad estendersi anche fuori dai nostri confini”.

A dimostrazione di ciò, nel triste, poco rassicurante e spaventoso segno degli abusi in divisa, il libro ripercorre il sottile filo rosso che collega la vicenda di Aldro a tantissime altre che hanno riempito le pagine di cronaca nera del nostro Paese: “Nel raccontare di Federico, vi è soprattutto un intercalare delle tristi storie di Sandri, Fanesi e Scaroni, sicuramente non le sole vittime di questi ultimi tristi decenni. Alcuni di loro morti ammazzati, altri menomati per sempre, con quella fastidiosa parola che rimane ferma lì ad aleggiare, chiamata impunità. Sì, perché maledettamente nessuno viene mai punito. E ciò può generare mostri”.

Fermandosi più e più volte per fare un respiro profondo e non cedere alla forza travolgente delle emozioni, il papà di Federico ha poi concluso: “In questa nostra storia c’è stato veramente il mondo e ci vorrebbe un altro libro per poter scrivere tutte le persone che ci hanno aiutato, ci sono state vicine e sono state coinvolte. Voglio però dedicare un ultimo pensiero a quello che è il secondo anello della Ovest, dove prima o poi, insieme a loro, torneremo a riempire di colori la nostra curva. Per me, per  tutto quello che avete fatto e che farete, siete un fiore nel deserto. E il suo profumo, inebriante e coraggioso ha un nome soltanto: vita”.

“La tragedia di Aldro – ha successivamente sottolineato Daniele Vecchi, nel raccontare la genesi creativa del libro – è la storia del  del nostro popolo e non solo della nostra città. Una storia che abbiamo vissuto tutti e toccato tutti, una storia che tutti abbiamo il dovere morale di sentire nostra. Per scriverla ci ho messo poco, due settimane, perché mi è venuto naturale. Negli anni, quello che si è creato intorno a Federico, è un movimento che è cresciuto piano piano, fino ad arrivare a una presa di coscienza delle persone nel riconoscere l’abominio della sua uccisione. E se è vero che l’aggregazione è un qualcosa che fa male al potere, allora chiedo al mondo ultras di stare unito e aggregarsi perché, di questi tempi, penso sia fondamentale condividere pensieri ed esperienze tra le persone”.

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